Interazione tra insegnante di materia e insegnante di sostegno.
Obiettivi auspicabili:
– prevenzione di gravi episodi.
– comunicazione efficace.
– “inclusione” degli insegnanti.
AMBIENTE: scuola secondaria superiore di secondo grado.
MATERIALE e METODI
Storia di casi esemplari e/o critici.
Raccolta bibliografica e sitografica.
Analisi dei casi esemplari e/o critici proposti.
INTRODUZIONE
Queste righe sono il frutto dell’ incontro di due persone curiose e costruttive: un insegnante di sostegno e pedagogista clinico, e un docente di materie tecniche (informatica ed elettronica) e studioso della mente. Il secondo con “esperienza meditata” quarantennale di didattica… e circa ventennale in collaborazione con insegnanti di sostegno, su casi critici. Ci si è convinti sulla possibile utilità di divulgare alcune difficoltà possibili e suscitare domande.
Qual è una delle cose più belle per un insegnante? Essere consapevole e convinto di COMUNICARE, TRASMETTERE INFORMAZIONI ed EMOZIONI.
Ma cosa si intende qui (che significato diamo) per “comunicare, trasmettere”?
Per comunicare informazioni è necessario un trasmettitore e un ricevitore… e un canale trasmissivo: devono essere entrambi accesi! SE il RICEVITORE è SPENTO e/o manca il CANALE TRASMISSIVO… MANCA la COMUNICAZIONE.
SCHEMA DEL MODELLO TRASMETTITORE-RICEVITORE

Può darsi che un insegnante con classe di 30 allievi dopo giorni di lezioni sia convinto di aver “comunicato a tutti”, avendo ricevuto un feedback positivo da molti. Ad un certo punto si accorge che alcuni allievi non sono stati “raggiunti”. In qualche modo la lezione frontale in aula “uniforma gli allievi” mentre ogni ragazzo è un “unicum” [1]. (Allora l’“insegnante d’ aula” (della classe) varia (se ritiene e per quanto possibile) il suo “stile didattico dominante”. Contemporaneamente (o sfasati di poco nel tempo) effettua test per individuare un eventuale stile cognitivo dominante in ogni allievo, in particolare in quelli “debolmente raggiunti”.
Dove si è inceppato, si è interrotto il “modello trasmettitore-ricevitore” per alcuni? Perchè con alcuni è difficile relazionarsi? E se alcune emozioni prendono il sopravvento sulla logica bloccando l’ attenzione? L’analisi può non essere semplice!
Alcuni ragazzi classificati come afferenti allo “spettro autistico” [1] è come se avessero il “ricevitore spento” o “acceso a intervalli” o che si accende solo se l’ insegnante trova “interruttori misteriosi, nascosti”. Alcuni di questi “interruttori nascosti” possono attivare “reazioni negative, aggressive, distruttive”; altri possono attivare “reazioni positive, costruttive”.
In entrambi i casi sono informazioni utili e importanti da scambiarsi tra insegnanti dello stesso allievo problematico.
Rammentiamo: “ogni persona è diversa e ogni persona autistica è diversa”.
ANALISI su CASI di ALLIEVI AFFERENTI allo “SPETTRO AUTISTICO”
Citiamo: “una delle più frequenti cause di aggressività, presente nei bambini normali e nei soggetti che presentano disturbi psicologici, è provocata dalla sofferenza da loro subita, per svariate cause ambientali: eccessive limitazioni o frustrazioni dei loro desideri e bisogni, ingiustizie subite, scarsa presenza dei genitori e loro allontanamento fisico e/o affettivo, inserimento fuori dal nido familiare ad un’età precoce o in assenza di una buona maturità psicologica e affettiva, mancanza di sollecitudine ai loro richiami e infine, ma non ultima, la presenza di traumi e sensi di colpa causati dalla presenza di conflitti nell’ambito” [3]
Insomma, soprattutto in soggetti dello “spettro autistico” di grande massa e forza, è molto importante individuare quelle che per loro potrebbero essere le cause più frequenti di aggressività.
Questo per tentare di evitarle, soprattutto in classe. Non sono rari i casi avvenuti di danni a cose e/o persone nelle scuole, causati in situazioni come queste. Alcuni eventi accaduti fanno ipotizzare che spesso l’insegnante di sostegno non dovrebbe stare da solo con l’allievo.
ESEMPIO 1 Fabio e Francesco confronto tra i profili di Fabio e Francesco: due adolescenti con disturbo dello spettro autistico di livello I (nomi di fantasia).
Fabio e Francesco sono due ragazzi di 17 anni, entrambi diagnosticati con disturbo dello spettro autistico di livello I (nota anche come Sindrome di Asperger), accompagnata da tratti di ansia sociale e prestazionale che influiscono sulla loro performance scolastica e autonomia. Nonostante le difficoltà, entrambi mostrano una volontà di integrarsi nel gruppo classe e di relazionarsi con i compagni e gli adulti, sebbene il loro approccio alle situazioni sociali e alla gestione dell’ansia sia diverso.
La gestione dell’ansia e interazione sociale
La principale differenza tra Fabio e Francesco riguarda la gestione dell’ansia. Fabio tende a essere più vulnerabile all’ansia, che si manifesta in modo più invalidante rispetto a Francesco. Mentre quest’ultimo riesce a gestire meglio le proprie emozioni e le situazioni di stress, Fabio si ritrova a essere più soggetto a difficoltà nell’affrontare l’incertezza e le interazioni sociali. Nonostante queste difficoltà, entrambi cercano di essere presenti nelle dinamiche sociali della classe, cercando di relazionarsi e di costruire legami, anche se con modalità diverse.
Francesco si distingue per la sua iniziativa nel cercare contatti con gli altri, anche senza il supporto immediato di un adulto di riferimento. Lui sembra avere una maggiore sicurezza nell’interagire, e spesso assume un ruolo attivo, proponendo attività e cercando occasioni per entrare in relazione. Al contrario, Fabio, pur essendo presente e disponibile, tende a rimanere più nell’ombra, limitandosi a osservare e ascoltare, senza prendere l’iniziativa per avviare interazioni o partecipare attivamente.
Comunicazione e reazioni familiari
Anche se entrambi i ragazzi sembrano accettare inizialmente le indicazioni e le richieste scolastiche, la comunicazione con la famiglia si rivela essere più complessa. In un ambiente familiare più conosciuto e sicuro, entrambi esprimono più apertamente le loro difficoltà comunicative, ma questa apertura non sempre si traduce in un’accettazione dei consigli o delle decisioni dei genitori. Le risposte, infatti, possono diventare aggressive, sia verbalmente che fisicamente, e spesso si manifestano comportamenti oppositivi. Fabio e Francesco sembrano sperimentare una certa frustrazione quando non riescono a controllare le situazioni che li riguardano, con reazioni che variano da tensioni verbali a una maggiore manifestazione di disagio fisico.
Adattamento alle richieste scolastiche
Con il passare del tempo, l’osservazione scolastica diventa sempre più dettagliata. Dopo un mese e mezzo, emergono segnali di stanchezza e nervosismo che indicano come i ragazzi stiano reagendo alle richieste scolastiche. Fabio, per esempio, mostra una reazione fisica evidente all’invasione del suo spazio personale: un dondolio corporeo che indica una forma di auto-regolazione per gestire il disagio. La sua risposta a situazioni stressanti è più cauta: per comunicare con lui è necessario avvicinarsi in modo delicato, mantenendo un contatto visivo e una comunicazione diretta e chiara. Francesco, d’altro canto, è più disponibile a entrare in contatto fisico, anche se preferisce che l’interazione avvenga secondo modalità rassicuranti, che lo facciano sentire sicuro.
Entrambi i ragazzi desiderano essere indipendenti e, sebbene necessitino del supporto dell’insegnante di sostegno, preferiscono avere uno spazio di autonomia. Questo approccio sembra riflettere una dinamica di “gioco” con l’insegnante, in cui la presenza dell’adulto è percepita come rassicurante, ma senza un intervento immediato e invasivo.
Il momento della crisi: differenze nei segnali e nelle reazioni
Le crisi di Francesco sono legate alla sua propensione a entrare in “loop”, un circolo vizioso di pensieri che si ripetono in modo incessante, tipicamente negativi e auto-svalutanti. Questo stato mentale lo porta a una crescente agitazione e ansia. Prima che ciò accada, però, sono evidenti dei segnali di allerta, come lo sguardo basso, il rossore in viso e un atteggiamento fisico più chiuso (braccia conserte), che anticipano il momento di crisi.
Fabio, invece, pur non manifestando lo stesso tipo di “loop” mentale, risponde in modo più fisico al disagio, con segnali di nervosismo o ansia che si esprimono principalmente attraverso il suo comportamento corporeo, come il dondolio. La sua crisi non è preceduta da una sequenza di pensieri negativi, ma piuttosto da una sensazione di disagio che lo porta a isolarsi o a non interagire attivamente.
In sintesi, sebbene Fabio e Francesco condividano una diagnosi simile di disturbo dello spettro autistico di livello I, le loro risposte alle situazioni scolastiche e sociali sono molto diverse. Francesco appare più autonomo, capace di prendere l’iniziativa e di gestire meglio le proprie emozioni e l’ansia sociale. Fabio, invece, si mostra più timido e dipendente dal supporto degli adulti, mostrando una maggiore difficoltà nell’affrontare l’interazione sociale in modo autonomo.
Entrambi, tuttavia, sono motivati a far parte del gruppo, a comunicare e a costruire relazioni. La loro difficoltà principale sta nell’affrontare le situazioni di stress e nel gestire la comunicazione con l’ambiente circostante, soprattutto quando le richieste diventano più intense. La consapevolezza di questi segnali che anticipano la crisi è fondamentale per chi lo conosce, in quanto permette di intervenire tempestivamente, cercando di interrompere il ciclo di pensieri negativi. Bisogna però individuarli in tempo e TRAMETTERLI agli altri ATTORI del SISTEMA. Riconoscere queste differenze e adattare il supporto alle specifiche esigenze di ciascuno è cruciale per aiutarli a sviluppare il loro potenziale e favorire un’integrazione più completa nel contesto scolastico e sociale.
ESEMPIO 2 TI DO una TESTATA! … (giovane alto circa 190 cm, ben muscolato, di circa 130 kg.)
Sono 3 gli episodi a me noti avvenuti…
-1 L’ insegnante di sostegno G1 riferisce a Caso2 che io gli ho detto “dovrà fare…”. Il giorno dopo mi incontra a scuola in corridoio: “nessuno mi dice cosa devo fare…guardi che le do una testata…”.
-2 Collega insegnante in sorveglianza all’ intervallo, dopo il suono della campanella, intima a tutti il rientro. Caso2 rifiuta e minaccia di dargli una testata…
-3 Durante una lezione con la porta aperta entra una bidella. Chiarisce con energia che, nel cambio ora, gli allievi devono stare tranquilli seduti al banco; in particolare si riferisce a Caso2. Questi si alza minaccioso camminando e urlando verso la bidella: “lei non si permetta di darmi ordini o le do una testata”. La bidella ribatte con veemenza e lui non si ferma. Io corro ad interpormi spingendo indietro sul torace Caso2 e urlo alla bidella “se ne vada”! 60 kg (i miei) contro 130 (quelli di Caso2): camminando tranquillamente il ragazzo mi sposta e va ancora verso la bidella!
Si possono dedurre esperienze di sofferenza personale nel passato di questo ragazzo: “Le manifestazioni aggressive si rivolgono verso gli oggetti che sono sbattuti alle pareti o a terra nel tentativo di distruggerli o sui vestiti che vengono strappati. Tuttavia, si può manifestare anche nei confronti dei genitori, familiari, operatori e insegnanti, nel momento in cui questi dovessero insistere in qualche richiesta, che essi temono possa peggiorare la loro sofferenza interiore, oppure verso tutte le persone che, con il loro comportamento ansioso, colpevolizzante, irritante, provocano la loro esasperazione. “[3]
Vista la particolare struttura fisica, le reazioni aggressive di Caso 2 potrebbero essere PERICOLOSE PER COSE O PERSONE.
In questo Caso2 è difficile quindi “concordare completamente e semplicemente” con queste INDICAZIONI [3]:
1. Nel momento in cui queste manifestazioni aggressive si rivolgano agli oggetti, è bene non solo lasciarlo fare, senza affatto manifestare stupore, sconcerto o disapprovazione, ma anzi è opportuno aiutarlo a liberarsi dell’aggressività a lungo repressa, che soffoca il suo sviluppo psicologico, offrendogli altri oggetti su cui sfogare le sue emozioni negative e distruttive.
2. Se invece il suo, bisogno di sfogare l’aggressività è rivolto a qualche persona adulta, di solito si tratta della madre, della nonna o di un’insegnante, più raramente del padre, anche in questo caso queste manifestazioni non vanno represse ma trasformate in un gioco piacevole al quale partecipare insieme. Un gioco nel quale l’adulto e il bambino si divertono a fare la lotta, mediante strumenti innocui, come possono essere dei soffici cuscini. In tal modo questa emozione negativa potrà essere espressa pienamente senza che nasca nel bambino alcun senso di colpa o frustrazione.”
QUESTIONE COMUNE in questi 3 episodi: il ragazzo non sopportava le richieste, imposizioni, gli ordini.
OSS1. Imp. conoscere elementi significativi della storia di Caso2.
Chiunque, a scuola, avrebbe potuto scatenare le sue reazioni potenzialmente pericolose.
In questo ESEMPIO2 “segnali e informazioni non sono circolati nei momenti opportuni tra I vari attori/blocchi del sistema.
OSS2. Condividere, per quanto possibile, per tentare di prevenire possibili danni a persone o cose.
Avere a disposizione un locale adatto.
Condividere col Consiglio di Classe e insegnante di sostegno.
Condividere con gli altri allievi della classe. Meglio se da parte dell’ insegnante di sostegno.
Condividere con gli specialisti.
Nell’ attività di sostegno essere comunque in presenza di altri soggetti.

IL LAVORO UNIFICANTE e di COLLEGAMENTO dell’ INSEGNANTE di SOSTEGNO
Una specifica iniziale va fatta riguardo il compito dell’insegnante di sostegno in relazione ad un ragazzo autistico è complesso e articolato, in quanto implica un intervento mirato per supportare il ragazzo nel suo percorso di apprendimento e nella sua integrazione sociale all’interno della classe. Il ruolo dell’insegnante di sostegno va ben oltre la semplice assistenza materiale: è un compito educativo, relazionale, e a volte anche terapeutico, che richiede conoscenze specifiche sul disturbo dello spettro autistico e sulle strategie di intervento più efficaci.
L’insegnante di sostegno deve iniziare con un’attenta osservazione del ragazzo, raccogliendo informazioni dalle diagnosi, dai colloqui con gli specialisti e dalle osservazioni in classe. È fondamentale comprendere il livello di funzionamento del ragazzo, le sue difficoltà, i punti di forza, e le sue preferenze. Ogni ragazzo con autismo è unico e può manifestare un’ampia gamma di comportamenti, abilità e bisogni. L’insegnante deve dunque essere in grado di adattare il proprio approccio educativo in base alle specifiche necessità del ragazzo.
Il piano educativo personalizzato (PEP) è uno strumento fondamentale per l’insegnante di sostegno. Questo piano viene elaborato in collaborazione con la famiglia, gli specialisti (psicologi, terapisti) e gli altri insegnanti. Il PEP deve definire gli obiettivi educativi a breve e lungo termine, gli interventi e le metodologie da adottare, le modalità di valutazione dei progressi, e le strategie per affrontare le difficoltà specifiche del ragazzo. L’insegnante di sostegno gioca un ruolo cruciale nella realizzazione di questo piano, in quanto è colui che interagisce quotidianamente con l’alunno. A questo punto è giusto specificare che l’insegnante di sostegno pur avendo un ruolo specifico di supporto individuale allo studente, deve lavorare in sinergia con il consiglio di classe per stabilire gli obiettivi educativi. Il consiglio di classe, che comprende tutte le figure docente che lavorano con lo studente, deve essere coinvolto nella stesura del Piano Educativo Individualizzato (PEI) e nel monitoraggio dei progressi dell’alunno. L’insegnante di sostegno fornisce informazioni dettagliate sulle esigenze specifiche del ragazzo, suggerendo metodi e strategie didattiche per il suo supporto, e collabora con gli altri insegnanti per identificare gli obiettivi comuni e le modalità più adatte per raggiungerli.
Una delle principali responsabilità dell’insegnante di sostegno è quella di adattare il materiale didattico e le attività in modo che siano accessibili al ragazzo autistico. I ragazzi con autismo possono avere difficoltà con la comunicazione, la comprensione dei concetti astratti, o la gestione delle informazioni visive e uditive. L’insegnante può utilizzare strumenti visivi (come le immagini o le tabelle), strategie didattiche strutturate (come il metodo TEACCH), e attività pratiche per favorire l’apprendimento. L’insegnante deve anche tenere conto dei tempi e dei modi di apprendimento individuali del ragazzo, creando attività che rispettino i suoi ritmi.

L’insegnante di sostegno deve essere in grado di fornire al consiglio di classe informazioni dettagliate sul comportamento e sui progressi dello studente, sia in termini didattici che relazionali. Poiché il ragazzo autistico può manifestare una varietà di comportamenti o difficoltà che richiedono un’attenzione particolare, l’insegnante di sostegno diventa una figura centrale nel riferire eventuali progressi o problematiche specifiche. D’altro canto, gli altri insegnanti devono comunicare tempestivamente con l’insegnante di sostegno riguardo a situazioni che potrebbero essere rilevanti per l’inclusione dello studente (come difficoltà in una materia specifica o problemi comportamentali in classe). Questa condivisione reciproca di informazioni è fondamentale per garantire un approccio coerente e unitario.
A questo punto il consiglio di classe ha il compito di elaborare strategie di inclusione che siano funzionali alle necessità di tutti gli studenti, compresi quelli con disabilità, solo con il lavora a stretto contatto con il resto dei docenti garantisce dei risultati. Infatti a questo punto parliamo di responsabilità e monitoraggio, perchè il consiglio di classe, insieme all’insegnante di sostegno, è responsabile del monitoraggio costante dei progressi dello studente. Questo significa che, periodicamente, si dovrebbero confrontare i risultati ottenuti rispetto agli obiettivi del PEI, valutando se gli interventi siano efficaci e se sia necessario modificarli. Inoltre, se lo studente manifesta difficoltà comportamentali o emotive (come nel caso di crisi o difficoltà relazionali tipiche di un ragazzo autistico), il consiglio di classe deve discutere e decidere in che modo affrontarle in modo condiviso. L’insegnante di sostegno, conoscendo meglio le difficoltà individuali dello studente, diventa un interlocutore privilegiato per fornire indicazioni sulle modalità di gestione più adatte.
In alcune situazioni, l’insegnante di sostegno può avere anche un ruolo educativo nei confronti del consiglio di classe, sensibilizzando gli altri insegnanti sulle peculiarità del disturbo dello spettro autistico e sulle metodologie didattiche più appropriate. La formazione continua è essenziale affinché l’intero gruppo di insegnanti sia preparato a gestire in modo efficace le sfide legate all’inclusione di un alunno con autismo. L’insegnante di sostegno può promuovere momenti di confronto su come migliorare l’inclusività della classe e come implementare le strategie migliori per sostenere il ragazzo nel suo percorso di apprendimento.
Una difficotà presente in diversi ragazzi con autismo è la difficoltà nell’interazione sociale, nella gestione delle emozioni e nella comprensione delle norme sociali. In questo ambito, l’insegnante di sostegno deve essere un supporto fondamentale nell’insegnamento delle abilità sociali. Ciò può includere la gestione dei turni di parola, l’interpretazione dei segnali sociali, e il riconoscimento delle emozioni proprie e altrui. L’insegnante deve anche supportare il ragazzo nella gestione dell’ansia o delle difficoltà comportamentali che possono emergere durante la giornata scolastica. La creazione di un ambiente di classe prevedibile e sicuro è fondamentale per ridurre le frustrazioni.
Un altro elemento importante è la gestione e la collaborazione con il gruppo classe perchè l’insegnante di sostegno non lavora solo a stretto contatto con il ragazzo autistico, ma ha anche il compito di favorire l’integrazione sociale tra il ragazzo e i suoi compagni. Può essere necessario lavorare con gli altri insegnanti e con i compagni per sensibilizzarli riguardo all’autismo e creare un clima di inclusività, si cerca di aiutare il ragazzo a partecipare alle attività di gruppo e ad instaurare rapporti di amicizia, spesso facendo da “ponte” tra il ragazzo autistico e gli altri alunni, favorendo la comunicazione e la collaborazione.
Ma tutto funziona? Quando si evidenziano delle situazioni difficili o di crisi cosa si fa?
Non è tutto così semplice, anzi a volte è difficile anche entrare in relazione con loro e farsi accettare oppure in situazioni tranquille un giorno scatta nel ragazzo la crisi.
Il comportamento dei ragazzi autistici può essere difficile da comprendere per chi non ha esperienza. L’insegnante di sostegno deve essere preparato a gestire situazioni in cui il ragazzo può manifestare comportamenti problematici, come aggressività, autolesionismo, o crisi di rabbia. La gestione delle crisi richiede pazienza, competenza e una buona conoscenza delle tecniche di de-escalation, oltre alla capacità di rimanere calmi e di proteggere il ragazzo e gli altri alunni. È importante che l’insegnante lavori con il team educativo per identificare le cause di questi comportamenti e mettere in atto strategie preventive.
Ultimo elemento ma non per questo meno importante è il ruolo di mediazione tra il consiglio di classe e la famiglia.
L’insegnante di sostegno, pur non essendo l’unico referente per la famiglia, ha spesso un ruolo di mediazione. La comunicazione tra scuola e famiglia è essenziale per il benessere e lo sviluppo del ragazzo con autismo. L’insegnante di sostegno, conoscendo nel dettaglio il ragazzo, può riferire al consiglio di classe le difficoltà che emergono a casa e viceversa, fornendo alle famiglie indicazioni sul comportamento scolastico e sull’apprendimento. Per rendere efficaci ed efficienti le strategie applicate l’insegnante di sostegno può aiutare a trasmettere alle famiglie gli aggiornamenti degli interventi adottati e sulle strategie da mettere in pratica anche a casa.
E’ evidente che sia con il consiglio di classe che con la famiglia è importante stabilire una comunicazione continua e aperta con tutti coloro che lavorano con il ragazzo, l’insegnante di sostegno diventa il punto di riferimento poichè raccogliere informazioni, aggiornamenti e feedback sul comportamento e sull’andamento scolastico del ragazzo e lavora in stretta collaborazione con gli altri membri del team educativo compresi psicologi, logopedisti, terapisti occupazionali, per garantire un approccio integrato e coordinato.
Questo, anche per favorire l’autonomia del ragazzo per aiutarlo a gestire il materiale scolastico, a rispettare le routine quotidiane, a prendere decisioni autonome in merito alle sue attività.
E’ importante sapere che il disturbo dello spettro autistico è molto variegato e in continuo aggiornamento nelle sue scoperte scientifiche e terapeutiche, è fondamentale che l’insegnante rimanga sempre aggiornato sulle migliori pratiche e sulle nuove metodologie di intervento.
RISULTATI e CONCLUSIONI
Il risultato è la consapevolezza che se si lavora a livello di sistema adeguato ci sono ragionevoli possibilità di essere efficaci, e di sentirsi sostenuti. Se non lo si fa ci sono ampi margini di non essere efficaci, sentendosi quindi inadeguati.
Concludiamo dicendo che il compito dell’insegnante di sostegno in relazione a un ragazzo autistico è un impegno multidimensionale, che richiede competenze pedagogiche, psicologiche e relazionali. È un lavoro che, oltre a favorire l’inclusione scolastica, si concentra sul benessere del ragazzo, aiutandolo a sviluppare le proprie potenzialità e a superare le difficoltà legate al disturbo. Il successo di questo intervento dipende dalla sinergia tra insegnanti, famiglia, specialista e compagni di classe. Deve essere un lavoro costruttivo e orientato al lavoro di squadra, in cui ogni membro contribuisce con le proprie competenze per garantire che lo studente con autismo possa apprendere e crescere in un ambiente scolastico inclusivo.
Altre considerazioni conclusive:
-SEMBRA necessaria una continua (con frequenza programmata e temporizzata) comunicazione tra i blocchi/attori componenti il sistema.
-Ogni insegnante non dovrebbe sentirsi spiazzato (se incluso) in nessuna situazione.
-Molti insegnanti potrebbero sentirsi non adeguati e/o impauriti per mancanza di informazioni e preparazione a certi eventi.
Anche “DOMANDE che SORGONO” sono RISULTATI:
La tempistica dell’apprendimento per un’allievo afferente allo “spettro autistico” può essere tarata come viene programmato l’apprendimento per un “allievo medio”?
Si può migliorare la struttura di questo sistema e il suo funzionamento?
E’ come risolvere un problema matematico?
Proseguiremo con altre riflessioni!
BIBLIOGRAFIA e SITOGRAFIA
[1] Cavallo C. R. Un modo di essere! Fisiatria Italiana [Internet]. 2024 apr-giu; 9(15): 26-29
[2] https://nonsolopedagogia.it/autismo-e-pedagogia-speciale/
[3] https://www.messinamedica.it/2021/08/aggressivita-e-autolesionismo-nellautismo/
ALCUNI SUGGERIMENTI per APPROFONDIMENTI di EPISTEMOLOGIA e FILOSOFIA DELLA SCIENZA:
E. Fromm -Anatomia della distruttività umana.
K. Lorenz -L’ Aggressività. “Il cosiddetto male”
K. R. Popper,J. C. Eccles – L’io e il suo cervello.
J. Piaget- Biologia e conoscenza.
E. Kant- Critica della ragion pura.
D. Antiseri – Epistemologia e didattica delle scienze.
D. Antiseri- Teoria unificata del metodo
F. Facchini-Antropologia.
G. Bateson-Verso un’ ecologia della mente.