Il ruolo del Fisiatra nella consulenza medico-legale (2)

Anno: 2023 - Vol 8 / Fascicolo: 12 / Periodo: lug-set

Autori:

Accursio Miraglia

Consulente tecnico presso il Tribunale di Sciacca

Direttore sanitario “Centro di Educazione Psicomotoria”, Sciacca (AG)


SECONDA PARTE

Valutazione del danno e della disabilità in sede medico-legale

La valutazione del danno e della conseguente disabilità è la questione centrale in tutti gli ambiti di valutazione medico-legale (invalidità civile, infortunistica privata, danno biologico, pensionistica di privilegio).

Tale valutazione deve rispondere a criteri scientifici e norme di legge, e non può essere formulata “a braccio” dal consulente (che sia di parte o d’ufficio).

Per tale ragione sono state elaborate dalle istituzioni delle tabelle di riferimento e delle linee guida operative, nel caso in cui la valutazione debba essere qualitativa e non meramente quantitativa (e quindi tabellare). In caso di invalidità “tabellata”, questa verrà valutata con un punteggio percentuale direttamente proporzionale alla gravità della patologia ed indicante la riduzione della capacità lavorativa. 

In caso di valutazione tabellare del danno si ritiene che, anche in caso di nomina di parte (quindi come CTP), sia comunque il caso di far riferimento alle tabelle di riferimento in sede giudiziale. Capita talvolta che il CTP faccia riferimento a barèmes medico-legali alternativi a quelli “istituzionali”, come ad esempio il Bargagna, testo storico e sotto l’egida della Società Italiana di Medicina Legale, che possono riconoscere percentuali più vantaggiose per gli infortunati. Tale prassi, se da un lato può indicare una quantificazione maggiore del danno (quindi più favorevole per il cliente) al momento della stesura della perizia, pare però penalizzante in sede di definizione giudiziaria, in cui il CTU opererà utilizzando le tabelle riconosciute dal Tribunale, riducendo di conseguenza la valutazione operata dal CTP. Tale occasione, in sede di definizione della lite, può compromettere completamente o in parte l’esito della causa.

In caso di danno biologico, quindi in ambito risarcitorio e non previdenziale, in cui la valutazione è sempre quantitativa, si fa riferimento a due diverse tabelle, a secondo che il danno sia quantificabile fino al 9% (cosiddette lesioni micropermanenti) oppure dal 10% in poi (lesioni macropermanenti).

Nel primo caso la tabella di riferimento è il Decreto Ministeriale 3 Luglio 2003 (Tabella delle menomazioni alla integrità psicofisica comprese tra 1 e 9 punti di invalidità).

Nel secondo caso si dovrà fare riferimento alla Tabella unica nazionale delle menomazioni all’integrità psicofisica comprese fra 10 e 100 punti di invalidità, ai sensi dell’articolo 138 del codice delle assicurazioni private di cui al D. Lgs. 7 settembre 2005 n. 209. Questa tabella fu chiamata “unica” poiché, colmando un vuoto legislativo, sostituiva le singole tabelle elaborate dai diversi Tribunali (ad esempio Roma o Milano), uniformando i coefficienti su tutto il territorio nazionale e superando le precedenti inevitabili difformità.

In caso di incidente sul lavoro o malattia professionale, e quindi in ambito INAIL, le patologie andranno quantitativamente valutate secondo la “Tabella indennizzo danno biologico in capitale” di cui al d.m. 12 luglio 2000.

Nel caso di una consulenza in ambito previdenziale INPS si opera in modo diverso in base al beneficio richiesto.

Di seguito sarà a grandi linee indicato il modus operandi nei diversi casi (assegno mensile di assistenza, pensione d’inabilità, assegno ordinario di invalidità, indennità di frequenza, indennità di accompagnamento, riconoscimento dello stato di portatore di handicap).

L’assegno mensile di assistenza è una prestazione economica, erogata a domanda, in favore dei soggetti ai quali è stata riconosciuta una riduzione parziale della capacità lavorativa (dal 74% al 99%) e con un reddito inferiore alle soglie previste dalla legge. In questo caso occorre individuare tutte le patologie di cui soffre il periziando, valutarne l’incidenza invalidante e quantificare la percentuale d’invalidità per ogni patologia, facendo riferimento alla tabella di cui al Decreto Ministeriale del 5 febbraio 1992. Le percentuali assegnate ad ogni patologia andranno poi sommate non aritmeticamente, ma secondo delle formule apposite.

La pensione d’inabilità è una prestazione economica  riconosciuta in caso di assoluta e permanente impossibilità a svolgere qualsiasi attività lavorativa a causa di infermità, difetti fisici o mentali. Per poterne usufruire il richiedente deve aver maturato almeno cinque anni di contribuzione di cui tre nel quinquennio precedente la presentazione della domanda. Per ottenere la pensione di inabilità occorre cessare qualsiasi attività lavorativa (sia dipendente che autonoma). Anche in questo caso le singole patologie vanno individuate clinicamente e la loro incidenza disabilitante valutata percentualmente tramite la tabella di cui al Decreto Ministeriale del 5 febbraio 1992.

L’assegno ordinario di invalidità spetta al lavoratore che presenti un’infermità fisica o mentale che determini una riduzione superiore ai due terzi (66,66%) della capacità lavorativa (quindi la capacità lavorativa residua non deve essere superiore ad 1/3 o 33,33%). Oltre al requisito sanitario appena evidenziato è previsto un requisito contributivo: almeno 5 anni di contribuzione, di cui 3 nel quinquennio precedente la domanda. L’assegno di invalidità consente la prosecuzione dell’attività lavorativa.

In questo caso l’invalidità va valutata non in senso generale, ma con specifico riferimento alla professione svolta dal periziando ed alle occupazioni confacenti alle sue attitudini  considerando, cioè, i fattori soggettivi (età, sesso, esperienza professionale e così via). In questo caso, quindi, le singole disabilità andranno valutate in relazione al lavoro svolto, potendo quindi essere apprezzate diversamente in base alla professione del richiedente.

Si ritiene che la valutazione in questo caso non possa essere strettamente tabellare, considerato che le tabelle di cui al Decreto Ministeriale del 5 febbraio 1992 sono stare create per valutare la capacità lavorativa generica, ma, bensì, debba essere qualitativa, legata appunto alla refluenza negativa che la disabilità ha nel caso di specie (sulla particolare professione svolta dal richiedente).

Per esempio ad un soggetto di 60 anni, di professione orologiaio, ipovedente con visus residuale in OD=1/10 e in OS= 2/10, secondo le tabelle di cui al DM 5/2/92, prima citate, andrebbe riconosciuta un’invalidità civile pari al 40 %, e quindi non avrebbe teoricamente diritto all’assegno ordinario poiché la riduzione della capacità lavorativa sarebbe inferiore a 2/3 (e, per converso, la sua capacità lavorativa residua superiore ad 1/3). Tuttavia la sua riduzione della capacità lavorativa in attività confacenti sarebbe certamente superiore a 2/3, perché svolgere tale lavoro con questa disabilità sarebbe pressoché impossibile. Diversamente un soggetto con il medesimo deficit visivo di professione operatore telefonico o massaggiatore ne avrebbe un danno molto minore. 

Nel caso di un soggetto 40 enne occupato come impiegato di concetto, quindi esercente un’attività sedentaria, affetto da BPCO ed insufficienza respiratoria medio-grave, pur avendo diritto secondo le tabelle di cui al DM 5/2/92 ad un’invalidità civile del 75% (quindi superiore al 66,66%) non si potrebbe riconoscere una riduzione della capacità lavorativa residua in attività confacenti superiore a 2/3. Lo stesso non potrebbe dirsi se il medesimo soggetto fosse un bracciante agricolo o comunque un soggetto che svolgesse un lavoro fisicamente molto impegnativo.

L’indennità di frequenza è una prestazione economica, erogata a domanda, finalizzata all’inserimento scolastico e sociale dei minori con disabilità fino al compimento della maggiore età. L’indennità di frequenza non richiede che il minore sia stato riconosciuto portatore di handicap ex Legge 104.

Per i minorenni la legge subordina il riconoscimento dell’invalidità civile a condizione che abbiano difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età (art. 2, 2° comma, Legge 118/71). L’espressione “abbiano difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età” invita il consulente incaricato ad utilizzare un parametro valutativo qualitativo, totalmente slegato dalla mera quantificazione tabellare quantitativa. Quest’ultima è peraltro impossibile a livello procedurale in quanto la riduzione della capacita lavorativa (e di guadagno) non è applicabile ai minorenni.

Le condizioni previste per l’attribuzione dell’indennità di accompagnamento consistono alternativamente nell’impossibilità di deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore, ovvero nella incapacità di compiere gli atti quotidiani della vita senza continua assistenza.

Per “atti della vita quotidiana” si intendono quelle azioni elementari e anche relativamente più complesse non legate a funzioni lavorative, tese al soddisfacimento di quel minimo di esigenze medie di vita rapportabili ad un individuo normale di età corrispondente, così da consentire, ai soggetti non autosufficienti, condizioni esistenziali compatibili con la dignità della persona umana

In particolare sono atti elementari: fare il bagno (ricevere assistenza nel lavare non più di una parte del corpo); vestirsi (escluso l’allacciarsi le scarpe); uso del gabinetto (recarvisi con ausili, pulirsi e rivestirsi da solo); mobilità (alzarsi e sedersi sulla sedia senza appoggiarsi, usare il bastone); continenza (controllo completo di feci ed urine); alimentazione (escluso il tagliare la carne).

Sono atti strumentali della vita quotidiana la capacità di usare il telefono, di fare acquisti e gestire il denaro, di preparare il cibo, di governare la casa, di cambiare la biancheria, di usare i mezzi di trasporto, di essere responsabili nell’uso dei farmaci, di essere capaci di maneggiare il denaro.

In pratica gli atti da considerare per valutare la disabilità sono quelli inseriti nella scala ADL e IADL, di comune utilizzo in ambito fisiatrico.

La giurisprudenza di legittimità ha chiaramente affermato che il beneficio dell’indennità di accompagnamento spetta anche in caso di perdita di uno soltanto degli atti del vivere quotidiano, purché abbia cadenza quotidiana nella vita del paziente (Corte di Cassazione, sentenza n. 13362 dell’11 settembre 2003).

È stato inoltre chiarito che non assume alcuna rilevanza ai fini del riconoscimento all’indennità in esame la circostanza che la necessità di un concreto e fattivo aiuto fornito da terzi sia perdurante per l’intera giornata potendo anche momenti di attesa, qualificabili come assistenza passiva, alternarsi nel corso della giornata a momenti di assistenza attiva, nei quali la prestazione dell’accompagnatore deve concretizzarsi in condotte commissive (Cassazione 5784/2003).

Con sentenza del 21.01.2005 n. 1268  la Suprema Corte Cassazione ha anche stabilito che “corollario delle diverse statuizioni dei giudici di legittimità è la configurabilità di un diritto all’indennità di accompagnamento in relazione a tutti quelle malattie che, per il grado di gravità espresso, comportano una consistente degenerazione del sistema nervoso ed una limitazione delle facoltà cognitive (ad es.: Alzheimer e gravi forme di vasculopatia cerebrale), o impedimenti dell’apparato motorio (ad es.: Parkinson), o che cagionano infermità mentali con limitazioni dell’intelligenza, e che, nello stesso tempo, richiedono una giornaliera assistenza farmacologia al fine di evitare aggravamenti delle già precarie condizioni psico-fisiche nonché incombenti pericoli per sé e per altri (es. psicopatie con incapacità di integrarsi nel proprio contesto sociale, o forme di epilessia con ripetute crisi convulsive, controllabili solo con giornaliere terapie farmacologiche).

Nel caso in cui il beneficio richiesto sia il riconoscimento dello stato di portatore di handicap, occorre fare riferimento alla Legge 104 del 05-02-1992. Rubricata come legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate,  è un provvedimento che mira a tutelare i diritti dei soggetti diversamente abili. Il presupposto di tale legge è che l’autonomia e l’integrazione possono essere raggiunti garantendo adeguato sostegno alla persona handicappata ed alla famiglia.

La legge, all’art. 3, individua i soggetti aventi diritto al beneficio. In particolare, il comma 1 dell’art. 3 recita: “É persona handicappata colui che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che é causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione”. Il comma 3 dell’art. 3 recita: “Qualora la minorazione, singola o plurima, abbia ridotto l’autonomia personale, correlata all’età, in modo da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione, la situazione assume connotazione di gravità. Le situazioni riconosciute di gravità determinano priorità nei programmi e negli interventi dei servizi pubblici”.

Mentre il riconoscimento dello stato di invalido civile ha un carattere esclusivamente sanitario, l’accertamento dello stato di handicap segue un criterio sociale oltre che sanitario. In tal senso, quindi, occorre valutare quanto la patologia o menomazione riscontrata incida sulla vita di relazione e, di conseguenza, quale sia lo svantaggio sociale che ne deriva. Il consulente dovrà considerare diversi parametri, come ad esempio l’età del soggetto da valutare, parametrando lo svantaggio sociale rispetto ai pari età. Utile anche avere notizia delle caratteristiche del domicilio del soggetto (sono presenti barriere architettoniche?)

Requisito necessario per avere diritto alla legge 104 è il riconoscimento di una percentuale di invalidità civile superiore al 33,33%.

Guida pratica alla stesura della perizia

Indipendentemente dal fatto che il consulente sia incaricato dal giudice o dal cliente, la perizia deve presentare determinate caratteristiche. Nel primo caso, ovviamente, il medico dovrà rispondere punto per punto ai quesiti posti, mentre nel secondo caso dovrà verificare la sussistenza dei requisiti per l’ottenimento del beneficio richiesto o quantificare il danno biologico conseguente ad un fatto illecito.

Appare indispensabile che la perizia contenga i seguenti paragrafi:

-) La premessa, in cui il CTU indicherà le coordinate del giudizio (numero di ruolo, periziando, giudice, sede del procedimento, ecc…) ed i quesiti posti dal giudice, mentre il CTP indicherà i dati della persona da periziare, quelli della persona che lo ha incaricato (non sempre coincidono, poiché la persona da valutare può essere un minore o una persona con gravi problemi mentali o cognitivi) e lo scopo della perizia (verifica del danno biologico, verifica dei requisiti per ottenere una prestazione previdenziale, specificando quale). 

-) L’elenco della documentazione sanitaria allegata ed eventualmente una breve illustrazione dei contenuti dei singoli documenti.

-)  Un’accurata anamnesi.

-)  Uno scrupoloso esame obiettivo.

-)  Una diagnosi chiara che indichi le singole patologie sofferte dal soggetto valutato.

-) Delle considerazioni  cliniche, in cui si indichino le caratteristiche delle patologie diagnosticate.

-) Delle condizioni medico-legali che facciano riferimento alle norme di riferimento per il caso in oggetto.

-) Una valutazione complessiva del caso alla luce di quanto rilevato ed in relazione all’ambito medico-legale pertinente.

-) Le conclusioni del consulente.

Nel caso in cui la consulenza tecnica sia redatta da un CTP, e ciò avvenga in epoca successiva ad un giudizio negativo per la parte assistita (ad esempio da parte dell’INPS che non ha concesso il beneficio richiesto o da parte di un’assicurazione di controparte che ha valutato in modo penalizzante un danno biologico), il consulente può inserire un ulteriore paragrafo in cui evidenza i principali punti da contestare nell’operato della parte avversa.

Il ruolo del fisiatra

Nei diversi casi analizzati il consulente medico potrà trovarsi a giudicare danni molto semplici, caratterizzati dalla lesione di un singolo distretto, si pensi ad esempio al danno biologico secondario alla frattura di un metacarpo, ma anche estremamente complessi, in cui occorrerà valutare numerose patologie e la loro ricaduta negativa sull’insieme delle abilità dell’individuo.

In particolare in quest’ultimo caso la formazione culturale propria del fisiatra si ritiene favorente la formulazione di giudizi chiari, approfonditi e motivati.

Lo scopo del corso di specializzazione in Medicina Fisica e Riabilitativa appare quello di formare medici esperti nel trattamento di disabilità causate dalle più diverse affezioni patologiche e con competenze specifiche in numerosi ambiti: neuromuscolare, osteoarticolare, cognitivo-relazionale, e biomeccanico-ergonomico. Il fisiatra possiede conoscenze sulle problematiche funzionali cardiovascolari, respiratorie, uro-ginecologiche, metaboliche, nutrizionali e psicologiche conseguenti alle condizioni di disabilità ed ha  competenze per valutare ed affrontare le problematiche relative alla limitazione dell’autonomia e della interazione della persona con l’ambiente in tutte le sue forme (familiare, lavorativo e sociale).

Il fisiatra si occupa della persona in senso olistico, e quando prende in carico il paziente la sua visione prospettica non guarda tanto a cosa il paziente non può più fare, ma piuttosto a quello che può fare con le abilità residue.

Proprio perché il parametro da considerare, anche in medicina legale, è l’autonomia del paziente, è fondamentale che la valutazione del soggetto non riguardi “l’organo” malato ma il malato in sé, nella sua interezza e totalità.

In base a quanto prima argomentato appare consequenziale che la figura del fisiatra possa essere centrale nella stesura di relazioni medico-legali, poiché ha competenze per valutare le problematiche relative alla limitazione dell’autonomia e della partecipazione del soggetto alla vita lavorativa e sociale, nella individuazione del danno e delle refluenze dello stesso sulla vita globale della persona malata. 

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