Ripensare alla salute ed alla sanità



di Renato Avesani
L’attuale drammatico periodo che ci è dato di vivere, viene da più parti individuato come un momento che può indurci a riflettere. La pandemia da “coronavirus” sta mettendo a dura prova i nostri stili di vita, l’economia, il concetto di globalizzazione, la salute. Già,… la salute!
Stiamo assistendo ad uno spiegamento sanitario mai visto prima, almeno dal dopo guerra in poi. Tutti noi confidiamo, in segreto, che le risorse non finiscano, che i posti letto non si esauriscano, che il personale sanitario tutto, ma in particolare quelli che sono in prima linea, tengano duro. Già,… il personale.
Forse alcune riflessioni si dovranno imporre anche sull’organizzazione delle cure e sull’idea di salute.
Partiamo da questo punto, ricordando che per L’Organizzazione Mondiale della Sanità la salute è “lo stato di completo benessere fisico, psichico e sociale e non semplice assenza di malattia”. Questo potrebbe significare che avere qualche piccola “magagna” non costituisce un presupposto per non essere in buona salute. Il mondo è pieno di persone che convivono con patologie (anche non proprio lievi) e che pure si professano in salute ed hanno una buona qualità di vita. Per contro ci sono persone affette da malattie vere o presunte che hanno una pessima qualità di vita.
Tutto sta nel tarare il termometro nella giusta maniera. Negli ultimi decenni non c’è dubbio che si sono moltiplicate le categorie dei malati: vi sono i malati veri, quelli che credono di essere ammalati, quelli che vengono indotti a sentirsi malati. “Il confine tra salute e malattia è una variabile storica nel momento in cui dipende da scelte ideologiche, culturali, socio-politiche, tutte connesse in un modo o nell’altro al livello tecnologico raggiunto” ( Medicina e Psicologia tra potere ed impotenza: G. Sala- Franco Angeli Ed.) Questa tendenza sembra inarrestabile: non sono mai sufficienti le visite (le famose liste d’attesa), mai sufficienti gli esami, i posti letto etc etc. Un meccanismo ipertrofico alla ricerca non solo della salute. Fino alla comparsa del coronavirus! Da lì la svolta.
All’improvviso ci si accorge come i ricorsi al pronto soccorso si sono ridotti drasticamente, le visite ambulatoriali pure, gli interventi non necessari anche. Già,… non necessari.
Si comincia ad intuire cosa siano le reali necessità sanitarie, le urgenze, quali sono le disponibilità ed i limiti del sistema, cosa sia realmente necessario ed inderogabile per guarire, per far star bene gli ammalati. Si comincia a capire come l’aver dismesso ospedali può costringere ad aprire le caserme o i padiglioni delle fiere per creare posti letto. Come l’aver per troppi anni mortificato il personale sanitario tacciandolo di opportunismo (per carità, nessuno è santo!), pronti alla denuncia facile per un nonnulla…possa portare poi a non vere risorse nel momento del vero bisogno. 
Crediamo che l’occasione possa diventare buona per ridare il giusto peso. Da parte nostra, come modesti cittadini, suggeriamo ai politici, ai programmatori della salute pochi punti di riflessione:
– fare uno sforzo (immane) per educare la popolazione a capire ciò che è urgente e ciò che non lo è, ciò che è malattia e ciò che non lo è
– fare uno sforzo (immane) per educare le massime dirigenze dei vari settori ospedalieri e non ad erogare il giusto e non il superfluo 
– fare uno sforzo per mantenere motivato e valorizzare il prezioso personale sanitario. E non si tratta solo della giusta remunerazione e dell’adeguato numero. Si tratta anche di protezione legale che renderebbe più sereno l’operato e ridurrebbe gli inutili accanimenti.
Come si vede un percorso educativo che, crediamo, libererebbe risorse da poter utilizzare al meglio anche potenziando i servizi territoriali a favore delle fasce più deboli. 
( lettera firmata da 35 persone pubblicata su Verona-in.it)


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