C’è chi dice no



di Morena Ottaviani

 

Il 2017 è sicuramente un anno prolifico per le Linee Guida sul Mal di Schiena: sia il National Institute for Health and Care Excellence (NICE) sia l’American College of Physicians (ACP) hanno pubblicato i loro dati e formulato le loro raccomandazioni. Leggendole, in molti punti mi sento gratificata ed esplodo con teatrali “Sono anni che io lo dico!”, suscitando la preoccupazione di collaboratori e/o familiari; mi è venuta quindi voglia di fare alcune osservazioni. Queste Linee Guida infatti possono differire in alcuni punti, ma su un aspetto sono chiare e concordi: troppi farmaci ed esami vengono prescritti per il Mal di Schiena.

Sei anni di Università (e 4 anni di Specializzazione per diventare Fisiatra): eppure è indubbia la difficoltà che si incontra dovendo dire “No” al paziente, anche se quel no è più che motivato. E’ quel No che tutti noi saremmo costretti a dire a chi ci bombarda di richieste di accertamenti, spesso tanto inutili quanto costosi. E non è semplice dire “no”, anche perché, come qualsiasi buon genitore sa, occorre anche motivare quel “no”. Quando il paziente si presenta in studio lamentando un mal di schiena che non lascia tregua, quando ti dice che sta assumendo ormai da giorni ma senza risultato tutto il palinsesto pubblicitario televisivo dei farmaci antinfiammatori, quando infine ti dice che “bisognerà fare per forza una Risonanza per vedere cosa c’è” (provvedimento spesso suggerito dalla portinaia o dal panettiere sotto casa, “che è pratico, lui”), in quel momento tu, Medico, rischi seriamente di diventare il peggior nemico di quella persona che sta davanti a te perché in quell’istante, dopo aver escluso il rischio di un evento traumatico o di una patologia maggiore primaria, proprio in quel momento tu stai per pronunciare quella fatidica ed odiosa sillaba: NO. O almeno “Non ancora”.

Da tempo mi impegno per “educare” il paziente, in modo che possa comprendere che non è facendo esami diagnostici costosi quanto inutili che si guarisce o si sopprime il sintomo doloroso. Non è sempre facile, ma fortunatamente i nostri pazienti non sono così ottusi come temiamo. Se vengono loro fornite valide e chiare argomentazioni per spiegare le nostre ragioni per procrastinare eventuali accertamenti diagnostici, e se motiviamo anche la nostra decisione spiegando le ripercussioni economiche che gli esami inutili hanno su tutti gli assistiti, vi assicuro che possono stupirvi con effetti speciali! E’ indubbio tuttavia che una linea di condotta coerente e concorde da parte di tutti o almeno buona parte dei Medici cui si rivolgono, sarebbe auspicabile e rassicurante per il paziente stesso.

Purtroppo infatti si dovrebbero “educare” anche molti colleghi, perché è indubbio che serva meno tempo a compilare una ricetta piuttosto che illustrare al paziente il motivo per cui non è il caso di fare una RM o una TAC (o comunque anche un banale Rx); e anche visitare il paziente, si sa, richiede un dispendio di minuti preziosi (SIGH!). Del resto, se troppo spesso il Medico viene scambiato per un burocrate o uno “scribacchino” è anche colpa nostra: il paziente ci vede al di là di una scrivania che compiliamo un po’ di scartoffie e che distribuiamo ricette come volantini pubblicitari, quindi cosa ci si può aspettare? Se invece magari ci mostrassimo al di là di un lettino di visita, se appoggiassimo la penna per impugnare un martelletto o un diapason, se guardassimo il paziente e non solo lo schermo del computer, se facessimo due chiacchiere con lui (si chiama anamnesi, ma “due chiacchiere” sono di più facile comprensione per il nostro interlocutore e comunque, il risultato è lo stesso), be’, forse allora ricomincerebbero a vederci come Medici, come Clinici e non come scrivani.

E allora spendiamolo un po’ di tempo per parlare con ed al nostro paziente. Alcuni la chiamano “Slow Medicine”, ma personalmente non credo possa esistere un’altra Medicina. E noi, Specialisti in Fisiatria, non arrendiamoci dal cercare di far comprendere ai colleghi MMG (ma non solo a loro) che lo specialista di riferimento per un dolore osteoarticolare è il Fisiatra (e non l’ortopedico, cui invece vengono ancora troppo spesso inviati i pazienti). Facciamo comprendere ai vari Colleghi che gli esami specialistici costano per cui, prima di scegliere un approccio terapeutico, la clinica e quindi una visita ben fatta (nei casi di dolore osteoarticolare ben raramente occorrono più di 20-30 minuti) è indispensabile per poter proporre un percorso diagnostico-terapeutico appropriato; e comunque, nel dubbio, forse sarebbe meglio sentire lo specialista prima di prescrivere esami. E facciamo anche presente a questi Colleghi che il nostro ruolo può diventare anche quello di essere “i cattivi” che pronunciano il famigerato “no” sollevandoli dall’onere di farlo loro. Spesso (ma non abbastanza) è una strategia adottata: “Il mio medico mi ha mandato a fare la visita da lei per farmi prescrivere la risonanza”.

L’importante, come sempre, è non arrendersi mai e continuare impassibili a perseguire le nostre convinzioni, con la consolazione e la certezza che prima o poi, come in questo 2017, le Linee Guida ci daranno ragione.

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2 comments
  1. Ringrazio la Collega per questa bella lettera.
    Essere “cattivi” costa: in termini di immagine, in termini di carriera, in termini economici. Il tuo no sarà immediatamente sfruttato dal collega della porta accanto che saprà cavalcare il disappunto del paziente a suo favore. Non è solo una questione dei suggerimenti del portiere o dell’amico di turno. Purtroppo in ogni rivista, quotidiana o settimanale che sia, canale tv, pubblico o privato, senza parlare di internet ,troviamo pagine dedicate alla salute che talvolta informano correttamente , ma piu’ spesso forniscono notizie distorte, inducendo, appunto la ricerca degli esami piu’ sofisticati. Il discorso è complesso, perchè richiama anche il ruolo dell’economia, dei produttori di apparecchiature elettromedicali, etc. etc
    La collega ha citato “Slow Medicine”. Non credo sia superfluo citare questo movimento che, attraverso il suo slogan di “fare meno per fare” meglio , sta tentando faticosamente di correggere il tiro, di far recuperare un po’di buon senso nella pratica clinica. Ritengo che questi “movimenti” vadano sostenuti, rafforzati nelle loro idee, ampliati con il contributo di tutti. A proposito! Dove sta la SIMFER in tutto cio’? Ricordo un primo tentativo da parte mia di affrontare il tema cinque anni fa, una mia innocente dichiarazione programmatica al congresso di Torino, qualche cenno qua e là da parte dell’attuale presidenza. Ad oggi non mi pare che la SIMFER figuri tra le società scientifiche aderenti a Slow Medicine. Vorrà il futuro Consiglio Direttivo prendere in considerazione questa linea? Lo dico con trasporto perchè credo sia nel genoma della riabilitazione il concetto di lentezza ,di tempo , di rispetto dei limiti.
    Ma forse anche altre istituzioni dovrebbero accalorarsi su queste tematiche: le Università, gli Ordini, le Società Scientifiche appunto.
    Grazie cara Collega. Dire no è sempre difficile. Ma ti fa uscire a testa alta… che di questi tempi è già una gran cosa.

    1. Sono pienamente d’accordo con te, caro Avesani: in questi ultimi tempi anch’io mi sono domandata spesso dove fosse la SIMFER. Ed allo stesso modo mi auguro che il Direttivo che vorremo votare il prossimo Ottobre abbia realmente desiderio di mettere le mani su molte, troppe questioni che aleggiano in un limbo immeritato da troppo tempo. La Slow Medicine è sicuramente una di queste ed io appartengo ad un Ordine (quello di Genova) che fortunatamente aderisce alla Slow Medicine (quindi vedi, caro Collega: il tuo non è un sogno irrealizzabile).
      Ma in tutto ciò, quello che più mi rattrista è il pensiero che, come dici tu, il collega dello studio accanto sia disposto a concedere al Paziente tanti “sì” in contrapposizione ai miei, ai nostri “no” (e vorrei qui sottolineare che parlo da ambulatoriale che lavora nel privato accreditato, tanto per bacchettare i soliti maligni che credono che chi esercita nel privato sia disposto a “concedere le proprie grazie” al Paziente). Qui si tratta di coerenza e di pura onestà intellettuale. E’ un po’ come quando devi dire ad un Paziente che non camminerà più o che dovrà rinunciare ad una funzione: non tutti i colleghi purtroppo si assumono la responsabilità di dare certe notizie e di passare per “cattivi”. Come si dice, è uno sporco lavoro, ma qualcuno deve pur farlo.
      Il mio sconforto è dovuto proprio all’assenza di quella “linea di condotta coerente e concorde da parte di tutti o almeno buona parte dei Medici cui si rivolgono” cui faccio riferimento tra le mie righe, assenza che ancora una volta mi fa riflettere sul fatto che i Medici dovrebbero lavorare insieme per il Paziente, e non azzannarsi tra di loro per contendersi il Paziente come se fossero belve che si azzuffano per un osso. Sarò una sognatrice, ma ancora credo che si possa trovare una collocazione professionale dignitosa anche dicendo qualche “No”. E ancora mi illudo che la collaborazione, la coesione tra Colleghi possa venire rispolverata: sarà necessario insegnarla anche tra i banchi delle Università ed i Docenti dovranno essere i primi a dare il buon esempio, creando dei “Discepoli” e non trattenendo il proprio sapere per evitare di creare potenziali rivali. Di lavoro da fare ce n’è sicuramente tanto. Speriamo che chi verrà messo nelle posizioni utili a fare qualcosa, abbia finalmente voglia di muoversi lavorando per la categoria e, conseguentemente in modo indiretto, anche per i Pazienti.
      In attesa di quel momento, caro Collega, continueremo a camminare a testa alta e, come dico sempre , a dormire sonni tranquilli.

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