TRATTAMENTO con MANIPOLAZIONI VERTEBRALI del TRATTO CERVICALE; INDICAZIONI, CONTROINDICAZIONI, LIMITI



di Accursio Miraglia

IL RACHIDE: GENERALITÀ

La colonna vertebrale è una struttura allo stesso tempo rigida e flessibile ed assolve compiti fondamentali per l’organismo: funge da sostegno al corpo, protegge il midollo spinale e le altre strutture site all’interno del canale vertebrale, favorisce l’orientamento della testa e del corpo nello spazio. 

Anatomicamente la colonna vertebrale è formata da: 

  • un tratto cervicale costituito da 7 vertebre (da C1 a C7)
  • un tratto toracico (o dorsale) costituito da 12 vertebre (da T1 a T12)
  • un tratto lombare costituito da 5 vertebre (da L1 a L5)
  • Sacro costituito dalla fusione di 5 vertebre a formare un’unica struttura (da S1 a S5) che fa da sostegno ai segmenti vertebrali sovrastanti permettendo loro i movimenti nello spazio.

È merito di H. Junghans aver considerato gli elementi di unione e di separazione tra due vertebre adiacenti come un tutt’uno indissociabile, un’unità anatomo-funzionale formata da disco, articolazioni interapofisarie e sistema legamentoso di connessione, che ha chiamato segmento mobile. La colonna vertebrale è costituita da 23 segmenti mobili, ognuno dei quali rappresenta un’unità funzionale, a livello della quale il cosiddetto pilastro anteriore (formato dalla sovrapposizione dei corpi vertebrali connessi tra loro dai dischi intervertebrali) garantisce la funzione statica di sostegno mentre il pilastro posteriore (formato dalla sovrapposizione degli archi e delle articolazioni posteriori) guida il movimento vertebrale. 

ANATOMIA E BIOMECCANICA DEL RACHIDE CERVICALE

Il rachide cervicale, come detto, si compone di 7 vertebre ed è fisiologicamente atteggiato in lordosi. Le prime due vertebre, Atlante ed Epistrofeo, formano un’unità anatomo-funzionale a parte, il cosiddetto rachide cervicale superiore. Hanno forma molto particolare e, da un punto di vista biomeccanico, aggiustano con precisione la posizione del capo nello spazio grazie ai movimenti di flesso-estensione (cenno del “si”) dell’articolazione occipito-atlantoidea e ai movimenti di rotazione (cenno del “no”) dell’articolazione atlanto-epistrofica. Le sottostanti 5 vertebre, tutte simili tra loro e caratterizzate dalla presenza delle apofisi unciformi, formano il cosiddetto rachide cervicale inferiore, mobilizzabile in flesso-estensione, latero-flessione e rotazione. Questi ultimi due movimenti non sono fisiologicamente dissociabili, ed alla rotazione si assocerà sempre una lateroflessione nello stesso senso. Il movimento complessivo del rachide cervicale sarà quindi il risultato del posizionamento del rachide cervicale inferiore e dell’adattamento del rachide cervicale superiore, che realizza di fatto il movimento preciso finale.

MANIPOLAZIONI VERTEBRALI: L’IMPORTANZA DELLA DIANGOSI

La manipolazione vertebrale è un mezzo terapeutico efficace ma delicato, che necessita di una scrupolosa valutazione sia dei possibili vantaggi che delle eventuali controindicazioni. Gli incidenti successivi a terapia manipolativa infatti, pur se estremamente rari, possono essere drammatici. Questi casi, in alcuni casi potenzialmente letali, sono sempre dovuti ad una errata selezione dei candidati per difetto di diagnosi differenziale, con avviamento al trattamento manipolativo di pazienti affetti da patologie incompatibili con il trattamento stesso: in tal modo anche una manipolazione eseguita in modo tecnicamente corretto diventa estremamente pericolosa. Una manovra tecnicamente errata effettuata su un paziente che rispetta i criteri di inclusione, invece, non causa mai incidenti gravi, potendo in genere provocare solo un’accentuazione della sintomatologia dolorosa per la quale si è in cura.

Per i motivi sopra esposti appare opportuno evidenziare come il momento fondante, il primum movens imprescindibile per decidere di sottoporre un paziente a manipolazione vertebrale sia la diagnosi. 

Definita come la procedura di ricondurre un fenomeno a una categoria dopo averne considerato ogni aspetto, la diagnosi è l’identificazione della natura e/o della causa di qualcosa. È conoscenza comune che il processo diagnostico sia articolato in diverse fasi in cui bisogna raccogliere scrupolosamente la storia clinica del soggetto, porre in essere sia un esame obiettivo generale che segmentario alla ricerca dei segni di patologia, effettuare una diagnosi differenziale sulla base delle conoscenze di patologia medica, chirurgica e delle altre discipline cliniche facenti parte degli insegnamenti del corso di laurea in medicina e chirurgia. Solo a questo punto si potrà suggerire una terapia e formulare una prognosi. Discernere fra i numerosissimi sintomi e segni che un paziente può presentare è possibile solo con un bagaglio culturale adeguato, dal quale attingere per individuare una determinata patologia. La mancanza di un’adeguata formazione, indipendentemente da eventuali episodi di dolo o colpa, non può in alcun modo consentire di formulare una diagnosi corretta, una diagnosi differenziale certa e, di conseguenza, di stilare un piano terapeutico adatto, con enorme nocumento per la salute del paziente.

Per le ragioni sopra esposte si ritiene che il trattamento manipolativo sia di esclusiva competenza medica. 

MANIPOLAZIONI VERTEBRALI: ASPETTI TECNICI 

La manipolazione è definita da Maigne come “una mobilizzazione passiva forzata che tende a portare gli elementi articolari al di là della loro escursione articolare, fino al limite dell’escursione anatomica”. Si compone di tre tempi: a) la messa in posizione, in cui si posiziona il paziente; b) la messa in tensione, in cui si imprime all’articolazione il movimento desiderato fino al limite dell’escursione articolare passiva; c) l’impulso manipolativo, cioè  un movimento forzato, secco, breve ed unico che, provocando una brusca diminuzione della resistenza articolare, accompagnata spesso da rumore di scrocchio, forza ancora per qualche grado la posizione di massima escursione articolare. La direzione della manipolazione deve sempre essere quella del movimento passivo libero ed indolore opposto al movimento passivo doloroso (regola del non dolore e del movimento contrario). 

MANIPOLAZIONI VERTEBRALI: INDICAZIONI 

Le manipolazioni vertebrali trovano applicazione quando alla base della sintomatologia algica vi è un disturbo doloroso intervertebrale minore (DDIM), definito da Maigne “una disfunzione vertebrale segmentaria dolorosa, benigna, di natura meccanica e riflessa, generalmente reversibile”. Questa definizione non entra nel merito della patogenesi del disturbo doloroso, che in genere si suole definire meccanica ma che in realtà è una disfunzione a genesi multifattoriale del segmento mobile vertebraledi Junghanns.

Indicazioni in patologia del rachide cervicale

Le patologie del rachide cervicale che possono trarre beneficio dalle manipolazioni vertebrali sono: cervicalgia acuta e cronica, cervicobrachialgia (forme lievi e forme croniche di origine meccanica), cefalea cervicogenica, sindrome vertiginosa, pseudotendinite (di spalla o di gomito).

MANIPOLAZIONI VERTEBRALI: CONTROINDICAZIONI

Le controindicazioni al trattamento manipolativo si dividono in due categorie: tecniche e cliniche. Le prime sono relative a casi in cui la manipolazione appare un trattamento razionale in problemi di natura meccanica ma non vi sono le condizioni per effettuarlo, le seconde sono legate ad affezioni di natura non meccanica per le quali la manipolazione non ha alcuna ragione di essere impiegata e può essere potenzialmente pericolosa.

Controindicazioni tecniche 

1) La regola del non dolore e del movimento contrario non è applicabile. 

2) Il tratto di  colonna da trattare è estremamente rigido. 

3) Il paziente ha paura della manipolazione.

4) L’operatore non è perfettamente padrone delle manovre. 

Controindicazioni cliniche 

Sono controindicazioni cliniche assolute all’esecuzione di una manipolazione la presenza di malattie tumorali, infiammatorie o infettive, una malformazione della giunzione cervico-occipitale, una grave osteoporosi, un’insufficienza vertebro-basilare. 

Quest’ultimo caso appare di estremo interesse clinico e medico-legale perché gli accidenti cerebrovascolari eventualmente provocati dalla manipolazioni possono comportare gravissimi rischi per il paziente.

Insufficienza vertebro-basilare: i test pre-manipolativi

L’insufficienza vertebro-basilare (IVB)è particolarmente temibile perché, anche se la manipolazione del rachide cervicale comporta un bassissimo rischio di  incidenti cerebrovascolari,questi sono potenzialmente fatali.

Per cercare di ridurre questo rischio sono stati messi a punto dei test clinici al fine di individuare, nella fase di selezione del paziente, possibili condizioni di IVB. Il razionale su cui si basano é che le sollecitazioni meccaniche esercitate sulle arterie cervicali possono ridurne il diametro del lume vasale e quindi diminuire o stoppare il flusso sanguigno: in queste circostanze i rami collaterali generalmente garantiscono la perfusione ma, se questo non avviene, il paziente diviene sintomatico. I test sono considerati positivi, e quindi il paziente è considerato a rischio, quando all’esecuzione del test compaiono stato confusionale, vertigini, nausea, nistagmo, vomito, alterazioni del visus o perdita di coscienza. Diversi studi hanno valutato in parallelo la sintomatologia clinica e l’esame Doppler sia in soggetti sani che affetti da IVB  sottoposti a test pre-manipolativi: i risultati hanno evidenziato che questi test non hanno una significativa capacità predittiva. 

In particolare i risultati di uno studio che analizzava i test basati sul posizionamento in estensione e rotazione del rachide cervicale hanno mostrato che questa manovra è priva di valore predittivo positivo, vale a dire che alla positività del test non corrisponde necessariamente una riduzione del flusso, verificata con esame Doppler, a livello delle arterie vertebrali. Il valore predittivo negativo, invece, oscilla tra il 63 ed il 97% in relazione al tipo di metodo statistico utilizzato e al lato considerato; ciò significa che, in caso di test negativo, la probabilità di un’effettiva assenza di riduzione del flusso sanguigno vertebrale varia dal 63 al 97%.  Gli autori hanno concluso che la validità di questi test e’ dubbia e che sulla base di essi non e’ possibile individuare i soggetti che hanno una riduzione del flusso a livello delle arterie vertebrali. Ancora di più, quindi, appare fondamentaleeffettuare un’accurata diagnosi differenziale prima di intervenire manualmente su un paziente affetto da algia al rachide, avviando al trattamento solo chi è affetto da patologia su base meccanica (DDIM) ed escludendo coloro che soffrono di una patologia di altra origine o che, oltre al DDIM, presentano anche altre patologie che controindicano il trattamento.

TRATTAMENTO DEL RACHIDE CERVICALE 

Le manipolazioni vertebrali rappresentano una valida scelta terapeutica nel caso di patologie del tratto cervicale, tuttavia vi sono dei casi in cui tale trattamento può o deve essere sostituito con altre tecniche, sia manuali che non manuali. 

Altre tecniche terapeutiche manuali

Fra queste possiamo annoverare:

le mobilizzazioni passive, movimenti articolari passivi effettuati dal terapeuta senza collaborazione attiva del paziente. Sono manovre dolci, ripetute, che rispettano il limite fisiologico del movimento ed aiutano a ripristinare il corretto gioco articolare, ridurre le contratture e lenire il dolore.

Le mobilizzazioni attive assistite,movimenti eseguiti attivamente dal paziente che sono guidati, facilitati o contrastati da un operatore. Hanno effetti simili alle mobilizzazioni passive ed inoltre aiutano il recupero del corretto trofismo ed equilibrio muscolare.

Il massaggio, insieme di manovre manuali di sfioramento, frizione, impastamento, vibrazione, percussione e pizzicamento esercitate sulla cute con lo scopo di mobilizzare i tessuti superficiali e/o profondi. Il massaggio ha azione decontratturante sui muscoli, svolge un’azione vascolarizzante ed ha attività reflessogena grazie alla stimolazione dei recettori nervosi di cutefasce connettivali, muscoli,tendini,legamenticapsule articolari. 

Le trazioni manuali,attraverso le quali si esercitano delle forze in senso contrario rispetto alle pressioni che agiscono lungo l’asse del rachide, allo scopo di ampliarne lo spazio intervertebrale. Possono essere eseguite tramite una forza manuale o meccanica e possono essere continue od intermittenti.

Terapie riabilitative non manuali

Quelle più comunemente utilizzate sono:

le infiltrazionidelle articolazioni interapofisarie posteriori con un derivato cortisonico, utilizzate talvolta come coadiuvante della terapia manipolativa in caso di flogosi delle suddette articolazioni.

Il collare cervicale, chetrova applicazione con lo scopo di ridurre il carico sulle articolazioni interapofisarie e su altre strutture, come le radici nervose. 

IlKinesiotaping,cheutilizza uno speciale nastro adesivo elastico applicato sulla pelle per fornire supporto e stabilità a muscoli e articolazioni senza limitarne il range di movimento articolare e, grazie alla stimolazione di diversi recettori somatosensoriali ed al sollevamento della cute, ridurre il dolore e facilitare il drenaggio linfatico.

LoSNAG(self-sustained natural apophyseal glide); si tratta di una forma di autotrattamento che utilizza delle bande elastiche in lattice per effettuare esercizi contro resistenza al fine di favorire un controllo a feed-back sensoriale per tutto l’arco del movimento e una stabilizzazione attiva dei muscoli del cingolo superiore. 

LaTerapia fisica strumentaleche, utilizzando apparecchiature elettromedicali, favorisce una catena di reazioni biologiche che si traducono in specifici effetti terapeutici: azione antinfiammatoria e antalgica, attivazione del microcircolo e quindi del metabolismo locale, drenaggio di edemi e versamenti, azione decontratturante sul muscolo, accelerazione dei processi di cicatrizzazione e recupero tissutale.

PROTOCOLLI TERAPEUTICI

Cervicalgie croniche

La cervicalgia cronica ha diverse cause e può costituire, malgrado il suo carattere benigno, un disturbo serio per il paziente, la cui qualità della vita è ridotta a causa di dolore e limitazione funzionale. La causa scatenante è, generalmente, uno stress meccanico (traumi, sforzi ripetuti, postura scorretta) superiore rispetto a quello che le strutture vertebrali (muscoli, legamenti, dischi e articolazioni) possono sopportare, con conseguente contrattura muscolare, presenza di un DDIM e reazione infiammatoria. L’approccio terapeutico alla cervicalgia cronica deve, preferibilmente, essere multimodale. Fra le varie terapie hanno buone evidenze scientifiche di efficacia sul dolore e sulla mobilità cervicale le tecniche di rinforzo muscolare e di kinesiterapia propriocettiva; fra queste sono particolarmente utili le mobilizzazioni attive assistite caratterizzate da movimenti contro resistenza offerta da un operatore. Le manipolazioni sono utili, ma i risultati sono meno buoni che nella cervicalgia acuta. Neck School, esercizi di estensione-rotazione, ginnastica non medica ed esercizi di gruppo non hanno dimostrato benefici statisticamente significativi. Fra i mezzi fisici sia la Tens che laLaserterapia  hanno mostrato buona efficacia sulla riduzione del dolore. 

Cervicalgie acute

La cervicalgia acuta è molto spesso fonte di seria limitazione funzionale e di dolore. Può essere causata da un trauma, da un movimento errato con conseguente contrattura muscolare o DDIM, da un quadro infiammatorio in artrosi. In caso di ernia discale acuta si può anche configurare un quadro di cervicobrachialgia. L’approccio terapeutico, come per la cervicalgia cronica, è preferibilmente multimodale. Diverse revisioni sistematiche, ad esempio,hanno riscontrato che la mobilizzazione e la manipolazione migliorano i sintomi della cervicalgia e che la loro efficacia aumenta sensibilmente in combinazione con lo stretching e la ginnastica posturale. Uno studio su singole tecniche terapeutiche, invece,  ha dimostrato un’efficacia decisamente maggiore della terapia manipolativa del rachide cervicale e toracico superiore a confronto con le mobilizzazioni attive assistite, con migliori risultati sulla diminuzione del dolore (50% contro 13%) e sul recupero dell’articolarità passiva. L’applicazione di Kinesiotaping (per una settimana) e le manipolazioni cervicali (rachide cervicale medio e giunzione cervico-toracica) hanno effetti simili sul dolore cervicale e sulla disabilità nel breve termine, anche se la manipolazioni sembrano nel complesso più efficaci e determinano un maggiore recupero dell’articolarità. La terapia con Campi ElettroMagnetici Pulsati si è dimostrata significativamente più efficace sul dolore nelle prime 4 settimane dopo il trattamento (la differenza si riduce al follow-up a tre mesi). Buona efficacia ha mostrato la Laserterapia .Non vi sono chiare evidenze sull’utilità delle sole trazioni, mentre sono utilizzabili in associazione con altre terapie: in questi casi è preferibile la trazione meccanica intermittente rispetto alla trazione continua. Non si ha documentazione scientifica che dimostri in modo chiaro l’utilità di cuscini cervicali, stretch and spray, collari magnetici, iniezioni intra-articolari, epidurali.  Nel caso specifico della cervicalgia acuta da colpo di frusta gli esercizi di mobilizzazione attiva hanno una forte evidenza scientifica di efficacia, ma devono essere iniziati precocemente. Sono particolarmente consigliati gli esercizi di rieducazione muscolare e posturale per il ripristino dell’articolarità e gli esercizi isometrici a basso carico. Un intervento riabilitativo con mobilizzazione precoce ed attiva del paziente ha dimostrato di essere più efficace ed economico rispetto al trattamento standard (riposo, collare, educazione del paziente) a distanza di 6 e 36 mesi.

CONCLUSIONI

Per il trattamento del rachide cervicale è possibile utilizzare diverse tecniche terapeutiche di provata efficacia, e fra queste un ruolo fondamentale hanno le manipolazioni vertebrali. Fondamentale è, però, che l’indicazione al trattamento tramite  terapia manipolativa sia posta con grande attenzione, rispettando con scrupolo i criteri di inclusione e formulando una diagnosi differenziale precisa che escluda dal trattamento i pazienti a rischio. Le conseguenze di una errata selezione dei pazienti avviati a tale trattamento, infatti, possono essere estremamente gravi. Per tale ragione si evidenzia la necessità che il trattamento sia prescritto ed eseguito da un medico. Infine, considerato che i protocolli terapeutici per la patologia cervicale comprendono anche altre tecniche manuali e non manuali di provata efficacia, si ritiene fondamentale che le scelte terapeutiche siano personalizzate sulle esigenze del singolo paziente. 

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