Tempo Libero

Anno: 2020 - Volume 5 / Fascicolo: 1 / Articolo: 24 / Periodo: ott-dic

Autori:

David A. Fletzer – Roma


Per citare questo articolo: Fletzer DA. Tempo Libero. Fisiatria Italiana [Internet]. 2020 ott-dic;5(1):85-109. Disponibile su: https://www.fisiatriaitaliana.it/tempo-libero-2

ESSERE AMICI

David Antonio Fletzer

In questo periodo di lockdown ho ripreso il saggio “Essere amici” di Franco La Cecla che avevo letto a suo tempo in quanto regalatomi appunto da un amico e su cui mi ripromettevo da tempo di farne un post per consigliarlo ai lettori di questa rubrica.

Il prof. La Cecla, per chi non lo conosce, insegna antropologia visuale alla NABA di Milano ed ha insegnato alla Università Vita e Salute San Raffaele di Milano, allo IUAV di Venezia ed al DAMS di Bologna oltre che alla Università di Berkeley, all’EHESS di Parigi e all’UPC di Barcellona. 

Già in copertina vi una affermazione, anche provocatoria per alcuni lettori, che fa pensare ovvero L’AMICIZIA PRESUPPONE LA SUA REVOCA,NON É NÉ UN DIRITTO NÉ UN DOVERE. 

Il saggio ha 13 capitoli oltre ad una premessa, una introduzione e delle conclusioni che iniziano sempre con 1 o 2 citazioni di grossi autori del passato (da Confucio ad Aristotele, da Euripide a Puskin ecc..) ed alla fine vi è una ricca bibliografia con 144 voci.

Non vi è una risposta a su cosa è l’amicizia (“variabile tutt’altro che universale, epoca per epoca, cultura per cultura” “non è peculiare agli umani; i cavalli, le galline e altri animali contraggono legami di amicizia”) e non potrebbe essere altrimenti ma ci aiuta a conoscere nel tempo e nello spazio questo “fatto della vita …… che pur praticandola rimane qualcosa di indefinibile e di difficilmente fissabile”.

Curiosa è la nota del 1330 in Ore d’ozio di Kenko che scrive un elenco di sette persone che è bene non avere per amici(persone influenti o di alto rango, i giovani, gli uomini forti che non sono mai malati, gli uomini a cui piace il sakè, gli uomini fieri e coraggiosi, i falsi e gli avidi) e le tre categorie (persone che fanno regali, i medici ed i saggi) di cui è invece bene essere amici.

Solzenicyn affermava che l’amicizia non è una istituzione e non è più forte dei ruoli ma un legame che può scardinare i ruoli se lo si volesse.

Rispetto per esempio all’altro grande rapporto fra umani (l’amore) nella amicizia non si va né da un funzionario del Comune né da un prete per ratificarla; è una ricompensa dei viventi, che non bisogna aspettare anni o un’altra vita, pur non essendo una virtù e non è prevedibile.

Contrariamente all’amore appunto, l’amicizia, almeno nel mondo occidentale (in altre culture così non è, difatti, per esempio l’ortodosso moscovita Pavel Florenskij contrasse un matrimonio mistico con il suo miglior amico Sergej Troickij) non prevede riti per suggellarla, tipo cerimonie, promesse istituzionali o sigilli, anche se “la rottura di amicizie profonde durate anni fanno più male della fine di un amore”. L’antropologo polacco Malinowski diceva nel suo diario “Sono terribilmente depresso e rattristato dal fallimento di questa amicizia, che mi era essenziale. La prima reazione di ritenermi responsabile di ogni cosa predomina, e mi sento «capitis diminutio», un uomo da poco, diminuito, di infimo valore”.

La Cecla tratta appunto in un capitolo le possibili cause di  rotture dell’amicizia come per esempio i cambiamenti di censo in quanto una condizione comune aiuta parecchio nonostante, aggiungo io, nella letteratura e nella cinematografia ci siano molte storie epiche fra amici di ceti opposti. 

Ma di contro “Il bello di questo rapporto è che non tutte le amicizie sono importanti, non tutte ci cambiano, non tutte significano per noi la stessa cosa”.

Oggi in molti social si richiede e si dà l’amicizia ma l’autore ricorda che social come Facebook appiattisce tutto, espropriandoci del lavoro vitale che è quello di intrattenere rapporti, la costruzione quotidiana della nostra socialità intima e allargata, “riduce l’amicizia a friendship” rischiando di creare “una solitudine affollata da spettri dell’amicizia”. “Sbandierare il numero di amici, pensare che basti un like per diventarlo, che basti un contatto, significa umiliare il legame che l’amicizia costituisce nella società, ridurla a gossip e a people.” Concetto che condivido in pieno e difatti nella mia esperienza di utilizzatore di social asocial spesso rispondo solo alle richieste che mi vengono preannunciate a voce proprio perché considero i messaggi via internet troppo anonimi e certamente ben lontani dai valori dell’amicizia.

Il testo affronta, come si nota fin dalla copertina e come ho già ricordato, la revocabilità dell’amicizia ovvero quando il rapporto si attenua, si trasforma in semplice conoscenza ovvero si raffredda e questo avviene quando qualcosa cambia in uno dei due amici, piuttosto che un semplice gesto od un singolo evento e difatti Cicerone ricorda nel suo De amicitia“spesso accade che gli interessi dei due amici non coincidano più o che le loro posizioni politiche non siano più le stesse”.

Ma se è vero che le amicizie possono finire Matteo Ricci nel suo Dell’Amicizia afferma addirittura che “una nazione può stare senza tesoro, ma non può stare senza amici” nonostante gli antropologi amazzonisti, come Santos-Granero nel Of fear and friendship, invece parlano del concetto di amicizia come predazione e cioè “un amico è una potenziale preda” (chi non ha mai sentito la battuta “) e quindi affrontano il potenziale ambiguo presente nell’amicizia al punto che pure Cicerone si domandava come fosse possibile che un amico potesse diventare un nemico (“vecchi amici che diventano i nemici più acerrimi”). ” Amici, non ci sono amici”, la frase attribuita da Diogene Laerzio ad Aristotele, riassume il concetto che alla base di ogni amicizia può esserci una potenziale inimicizia.

La Cecla a pagina 56 ricorda che “C’è stato un momento nell’Italia accademica della fine degli anni Novanta in cui si praticava una forma di predazione proprio nei confronti degli amici. Con cinismo e crudeltà veniva perfino teorizzato lo sport di approfittare degli amici, di fare loro dei torti, di renderli subalterni alle proprie logiche di carriera. Era un mondo maschile spietato che non sapeva se non tradire l’amicizia, giustificando i tradimenti col dire «tanto tu sei amico, quindi mi capisci», (ovvero, aggiungo io, la famosa battuta sentita da molti almeno una volta nella vita e cioè «a chi dare le fregature se non agli amici»). Una logica al massacro che come risultato ha creato una generazione intellettuale in cui la lotta col coltello era l’unica possibilità. Ho sempre pensato che l’amicizia non si possa dare via in cambio di altro, che come dice Aristotele «gli amici sono beni» o, come sa il proverbio, «chi trova un amico trova un tesoro», ma nel mondo accademico questo era (ed è) considerata pura ingenuità.” Nonostante ciò l’autore rammenta pure che “il rancore che si forma nelle rotture amicali è forse uno dei veleni peggiori della vita, qualcosa che se non curato ci accompagna per rovinare il resto degli anni.”

Vi è anche un capitolo sulla diversità di specie molto interessante che lascio scoprire al lettore pur volendo ricordare le parole di Madame de Lambert “Ci si chiede se l’amicizia possa esistere tra persone di sesso diverso. È una cosa rara è difficile, ma questa amicizia è più affascinante, … . Talvolta simili unioni cominciano con l’amore e finiscono per trasformarsi in amicizia” anche se ritengo sia più verosimile l’inverso.

Se 

“Aristotele nell‘ Etica nicomachea insiste sul l’importanza per gli amici della contiguità e della frequentazione” “la presenza e la prossimità sono le condizione dell’amicizia, la cui energia si perde nell’assenza o nella lontananza”, anche se era comprensibile in quella epoca dove la contiguità era la vicinanza mentre oggi in una società iperconnessa e globalizzata, dove in poche ore si può cambiare continente, l’affermazione del filosofo è meno verosimile, anche se Aristotele, secondo me, non aveva proprio torto perché è facile la fine di una amicizia quando non vi è più una qualsiasi forma di frequentazione.

Insomma un trattato interessante, stimolante ma anche molto attuale (pensiamo banalmente a tutte le discussioni fatte in occasione dell’ultimo Festival di Sanremo sui rapporti amicali fra il presentatore e Fiorello o con il cantante Tiziano Ferro) ma voglio finire con una citazione a cui credo fortemente ovvero “L’amicizia va oltre l’estemporaneità della scomparsa. Essa non viene cancellata dalla scomparsa dell’amico o dell’amica, ma rimane fluttuante come garanzia di un mondo condiviso”, ricordando espressamente l’AMICO PASQUALE PACE

Roma 17 aprile 2020 

Gli Anni piú belli di Gabriele Muccino

di David Antonio Fletzer

Dopo il periodo passato negli USA Gabriele Muccino, al suo dodicesimo lungometraggio, ha ripreso a fare film nello stile della commedia italiana che però affrontano grandi tematiche umane. Nel 2018 ha fatto “A casa tutti bene” che ricordo ha collezionato il maggior numero di spettatori nell’anno di uscita ovvero 1 milione e 430 mila persone, che affrontava il tema delle famiglie patriarcali ormai spesso dilaniate al loro interno e questo anno con questo film ha affrontato il tema dell’amicizia seguendo in 40 anni della loro vita 4 amici per la pelle interpretati magistralmente da Pierfrancesco Favino, Kim Rossi Stuart, Claudio Santamaria e Micaela Ramazzotti. Per chi ama il cinema riconosce molte scene (per esempio quelle della Fontana di Trevi e quelle in cui gli amici si ritrovano in una osteria romana ma non solo) in cui Muccino rende onore al grande Scola ed al suo capolavoro “C’eravamo tanto Amati” con la Sandrelli, Gassman, Manfredi e Stefano Satta Flores e francamente per chi ha amato Ettore Scola solo queste scene valgono il prezzo del biglietto. Come nella tradizione del grande cinema italiano i toni del racconto sono agrodolci e questo permette agli spettatori di discutere del film alla uscita magari al tavolo di una fiaschetteria romana e magari la sera di San Valentino (il film é uscito il 13 febbraio). Il film ha molti pregi fra cui un brano inedito di Claudio Baglioni da cui è tratto il titolo del film con una colonna sonora del pluripremiato Maestro Piovani. La storia, che si svolge nella capitale ed in parte a Napoli, parla appunto del TEMPO CHE PASSA e che inevitabilmente cambia le persone, compreso quelli che non vogliono cambiare, come il personaggio interpretato da Santamaria, che vogliono rimanere ai propri sogni dì gioventù. Una scena che più mi è piaciuta è quando verso la fine del film Paolo (interpretato da un bravissimo Kim Rossi Stuart) dice agli amici “ Le cicatrici so’ il segno che è stata dura, il sorriso è il segno che c’è l’abbiamo fatta!” facendo un verso con la mano che resterà nella poesia della storia cinematografica. Bravi Anche i 4 attori ( Francesco Centorame, Andrea Pittorino, eccezionale interprete di Paolo, Matteo Del Buono e Alma Noce)che rappresentano i protagonisti da giovane e che effettivamente somigliano sorprendentemente ai 4 attori principali.

Purtroppo in questi giorni anche il cinema subisce gli effetti negativi del COVID19 con le sale chiuse in molte regioni italiane ma l’invito è di andare al cinema per chi vive nelle regioni dove non ci sono limitazioni, consapevoli, come negli anni del terrorismo, che il nostro vero nemico è chi/cosa vuole cambiare le nostre abitudini (cinema, teatro, musei, mostre, aperitivi, cene, gite, viaggi, lavoro ecc..) isolandoci a osservare il nostro ombelico.

Figli

film con Valerio Mastandrea e Paola Cortellesi

di David A. Fletzer

Il 23 gennaio 2020 è uscito nelle principali sale cinematografiche il film FIGLI con Valerio Mastandrea, Paola Cortellesi, Stefano Fresi, Paolo Calabresi ed altri bravi attori italiani con la regia di Giuseppe Bonito. Ma parlando di questo film voglio parlare di MATTIA TORRE, che è stato lo sceneggiatore del film e da cui Mastandrea ha tratto pure il monologo “I figli ti invecchiano” recitato nella trasmissione “E poi c’è Cattelan” che vi consiglio di cercare su internet.

Mattia Torre, morto il 19 luglio 2019 a 47 anni, era uno sceneggiatore, commediografo e regista. Fra le sue sceneggiature la più nota, insieme a Vendruscolo e Ciarrapico, è stata quella della serie televisiva Boris ma che i lettori di questa rubrica troveranno nel secondo pezzo che ho scritto nel 2018, quando ho parlato delle serie televisiva “Linea verticale” trasmessa da Rai 3 e che racconta la storia di un malato di un tumore dell’apparato urinario, la stessa patologia che l’anno successivo porterà Torre a morire.

Vi invito a rileggere il mio commento positivo di quella serie televisiva per capire come mai sono andato a vedere questo film appena uscito.

Ho sempre pensato che per un film sono importanti sia gli attori che il regista ma specialmente la STORIA, i DIALOGHI ed il messaggio che lascia allo spettatore ed è per questo che penso che il cinema italiano ed in generale europeo (specie l’inglese ed il francese come lo spagnolo d’autore) sia uno dei più validi nel campo mondiale perché spesso noi vicariamo con la storia la mancanza di mezzi speciali straordinari tipicamente americani tipo Star Wars o Fast and Furious. E Torre è stato ed è un pezzo importante della creatività artistica italiana e quindi la sua scomparsa ha lasciato un grosso vuoto.

Ma torniamo al film il cui primo ciak è stato poco meno di 2 mesi dopo la scomparsa di Mattia e che merita forse di essere visto non in un momento di stanchezza psicologica ma in un pomeriggio/serata di stimolante riflessione sulla nostra epoca e sull’attuale momento della società italiana.

Uno spettatore anziano, seduto dietro me, diceva alla moglie che il film gli sembrava noioso e probabilmente si aspettava una commedia italiana leggera mentre il film, esilarante in tante scene, fa riflettere sui rapporti fra marito e moglie (quando il marito lascia la moglie a casa con il neonato per andare a lavorare correndo, come mai ha fatto, alla ricerca di un po’ di tranquillità) e sul contrasto fra la generazione dei nonni e dei genitori (splendido il confronto aspro fra la Cortellesi e la madre che non vuole dedicare il suo tempo di pensionata nell’accudire il nipote per far tornare al lavoro la protagonista, una volta finito il periodo dell’aspettativa) rispetto alla gestione dei bambini ma anche sul drammatico calo della natalità nel nostro Paese (l’amico Fresi dice al protagonista Mastandrea “i genitori sono soli e non c’è nessuno che li aiuta veramente!” oppure la pediatra-guru quando dice ai due genitori riferendosi al secondo figlio appena nato “ lui è ciò che voi decidete di essere”). Come sono magnificamente descritte le terrificanti feste con i genitori dei compagni di scuola o le stramaledette chat di classe, ma io direi in generale in quanto nascono chat per qualunque motivo.

Si ride ma anche ci si personifica con i vari personaggi  per poi vergognarci se riusciamo a capire per pochi secondi che quelli che normalmente noi critichiamo non sono poi così tanto diversi da noi stessi. Ed è in questa la bravura di Mattia Torre che riesce a descrivere la realtà in modo comico ma senza eufemismi. Naturalmente nella riuscita del film vì è anche la bravura degli attori con una asciutta recitazione che riesce a rappresentare in modo comico ma anche spietato la realtà.

Come vedete nel mio ultimo post ho parlato del rapporto FIGLI-GENITORI parlando della splendida opera teatrale RE LEAR ed ora nuovamente con questo film di Mattia Torre e potrei concludere con la cinica frase di J. Paul Getty “Money isn’t everything but it sure keeps you in touch with your children” ma penso che sia fondamentale parlare dei nostri FIGLI/GIOVANI che rappresentano IL FUTURO, il futuro nostro e di questo Paese geriatrico, dove gli anziani, pur fondamentali, non vogliono mollare.

Roma 11 febbraio 2020

 

Premi  David di Donatello 2019

Mercoledì 27 marzo si è svolta, sui RAI 1 in prima serata, la consegna dei DAVID DI DONATELLO, gli Oscar italiani, e nonostante non abbia condiviso molte cinquine in varie categorie e molti premi assegnati certamente è stato uno spettacolo, anche internazionale vista la partecipazione di personaggi come Tim Burton e Ulma Thurman, interessante specie per chi ama il cinema.

I due film più premiati sono stati DOGMAN e SULLA MIA PELLE, entrambi legati a due fatti reali ovvero la storia del Canaro e di Stefano Cucchi.

Su questa rubrica ho già parlato del primo film e voglio ricordare quello che scrissi a suo tempo e che riaffermo.

 

“DOGMAN di Matteo Garrone con un fantastico Marcello Fonte. La storia si ispira ad un fatto realmente accaduto nel 1988 ovvero all’omicidio tramite lunghe e inenarrabili torture di Giancarlo Ricci da parte Pietro De Negri, detto il Canaro della Magliana. Ricordo che a suo tempo personalmente capii e condivisi nelle discussioni di quell’epoca l’esasperazione del mite Canaro sostenendo che era giusta la vendetta di chi aveva subito per tanto tempo vessazioni, ingiustizie e minacce. Il film non mi è piaciuto per il clima giustamente cupo e l’ambiente violento e degradato rappresentato, che certamente fanno capire bene il clima in cui era cresciuto il desiderio della vendetta. Come ho detto non mi è piaciuto il film ma certamente merita di andarlo a vedere per apprezzare il protagonista, giustamente premiato a Cannes con la palma d’oro. Marcello Fonte è splendido in questo film perché riesce ad esprimere magnificamente la mitezza e la semplicità del personaggio che poi esplode nell’orrore della vendetta omicida.”

 

Non ho visto invece il secondo film perché la vicenda Cucchi mi colpì a suo tempo specie per il coinvolgimento nel primo processo di alcuni colleghi dell’ospedale Pertini di Roma e pur immaginando la loro innocenza seguii sulla stampa le loro vicissitudini e sofferenze di uomini e di professionisti, che a volte capita nel nostro mestiere (sbattuti sui giornali e sulle trasmissioni televisive del mattino o del pomeriggio come MOSTRI, rovinando professionisti e le loro famiglie, per poi essere riconosciuti innocenti dopo anni) e che quindi mi colpisce sempre lasciandomi una grande amarezza in bocca ed è per questo motivo che non sono voluto andare a vedere questo film. Naturalmente non condivido certamente il pestaggio subito dal fermato ma non vorrei che si generalizzasse in modo negativo sull’Arma dei Carabinieri, composta da tanti giovani che ogni giorno rischiano la vita per garantirci sicurezza e diritto.

Come vedete da questo Premio siamo arrivati a parlare di tante cose e questa è la MAGIA DEL CINEMA.

Non ho condiviso molti premi, come ho già detto, ma su due sono totalmente d’accordo l’ATTRICE PROTAGONISTA ad Elena Sofia Ricci per il film Loro 1 e 2 (impersonava il personaggio ispirato a Veronica Lario) di Sorrentino, assente purtroppo nella serata, ed il DAVID DELLO SPETTATORE, introdotto per la prima volta questo anno, ovvero il film con il numero maggiore di spettatori paganti, consegnato a Gabriele Muccino per il suo film A CASA TUTTI BENE, grande bel film con un cast spettacolare ed a cui avrei dato molti premi e che invece era assente in quasi tutte le candidature.

Con l’occasione ricordo due iniziative interessanti per chi frequenta le sale cinematografiche. Anche questo anno tornano i CINEMADAYS (al cinema con 3€) al 1 al 4 aprile.

La seconda è MOVIE Mentovvero sale aperte e uscite di nuovi film anche nei mesi estivi. Nei tre mesi estivi (giugno, luglio e agosto) in Italia nel 2018 abbiamo avuto solo 16,6 milioni di spettatori medi rispetto ai 29,6 della Germania, ai 32,3 della Spagna e ai  59,6 della Francia.

Ricordo che negli anni del dopoguerra il cinema italiano è stato il SECONDO nel mondo dopo quello americano e quindi sarebbe bene che continuassimo a finanziarlo (i film italiani hanno rappresentato lo scorso anno il 34,84% di quelli andati nelle nostre sale con però solo il 24,16% degli incassi) ANDANDO MAGGIORMENTE AL CINEMA

31 marzo 2019                                                                                         David A. Fletzer

 

I GIGANTI DELLA MONTAGNA di Luigi Pirandello con Gabriele Lavia regia di G. Lavia

Lavia è sempre stato interessato ai lavori di Pirandello ed in questa stagione teatrale all’Eliseo di Roma (questa è la stagione centenaria in quanto, pur essendo nato nel 1900 come Arena Nazionale in legno all’aperto per diventare il Teatro Apollo di muratura il 24/9/1910, prende il nome di Eliseo appunto nel maggio del 1918) è stato rappresentato I Giganti della Montagna, l’ultimo lavoro scritto dall’autore siciliano, che cominciò nel 1930-31 con il 1 atto, nel 1934 con il 2 atto e rimanendo incompiuto per la morte dello scrittore nel 1936. L’ atto finale fu in parte ricostruito dal figlio secondo le intenzioni del morente Luigi Pirandello.

Nel recente lavoro di Lavia, che chiude la sua trilogia pirandelliana, dopo “Sei personaggi in cerca d’autore” e “L’uomo dal fiore in bocca…….e non solo” (ovvero L’uomo dal fiore in bocca e altre novelle pirandelliane che affrontano il tema della donna e della morte), la rappresentazione segue il testo incompiuto ovvero con l’arrivo percepito dei Giganti.

Direi che per chi ha sempre amato il teatro italiano questa è una rappresentazione vecchia maniera (per esempio attori che recitano senza microfoni) e di grande effetto (ben 23 attori sul palcoscenico e con scenografie magiche). Probabilmente sono di parte amando Pirandello e Lavia ma penso che questo lavoro rimarrà nella storia del Teatro come “I Masnadieri di Schiller” o “Il Principe di Homburg”, parlando di Lavia.

Penso che lavori come questi rappresentino la grandezza della cultura italiana che meriterebbe certo di uscire dai nostri confini perché lavori come questo sarebbero molto apprezzati in capitali europee e nordamericane e dimostrerebbero l’importanza del nostro Paese nel contesto internazionale.

Il dramma fu rappresentato per la prima volta a Firenze nel 1939 e viene ispirato a Pirandello da 2 sue novelle (“Lo Storno” e “L’Angelo centuno”) e come in “Sei personaggi in cerca d’autore” è il teatro nel teatro.

Questa rappresentazione ha anche il merito di non vedere una separazione tra il palcoscenico e la platea al punto che sembra di vivere all’interno del lavoro pirandelliano. Tale dramma viene considerato un po’ il testamento artistico dell’autore siciliano e difatti quando il protagonista Cotrone dice che nella vita si incontrano molte maschere ma pochi volti si riconosce appieno la filosofia di Pirandello.

Lavia parlando del protagonista ricorda che “è colui che vive rifugiato o emarginato nella propria illusione che il Teatro possa essere il Luogo Assoluto. Fuori da ogni contaminazione. Lontano da quei Giganti, da quelle –forze brute-, da quegli uomini (forse noi stessi!) che mettono paura solo a sentirli passare al galoppo!… I Giganti sono uomini che hanno dimenticato la coscienza della loro origine. Snaturati dal non voler conoscere se stessi. E dunque non possono far altro che continuare a uccidere la –poesia originaria– nata come specchio dell’uomo… uccidere il Teatro”. Ma il finale non scrittovorrebbe, afferma il regista, che fosse una speranza, meglio, una certezza laica, che “la poesia non può morire”.

Certo non è un lavoro leggero da seguire ma ritengo utile segnalarlo in quanto ho trovato spesso nella vita di tutti i giorni più concreti i paradigmi apparentemente assurdi di Pirandello che le ipocrisie perbenistiche ed anche questa dramma può, oltre a darci un piacere estetico, aiutarci a capire la natura umana del nostro Paese.

Insomma se lo spettacolo viene nelle vostre città vi consiglio di non perderlo e magari sono graditi anche i vostri commenti

David Antonio Fletzer

AMATE I VOSTRI NEMICI – San Luca capitolo sesto

David A. Fletzer

Oggi mi piace ricordare il Vangelo della VII domenica del tempo ordinario (S. Luca VI) perché sarebbe , forse dovrei usare “è” specie in una società sempre più urlata e dove prevale il potere e l’opportunismo più che la comprensione, molto utile per vivere meglio ma sono parole molto difficilie che a volte non riesco nemmeno a capire, pur cercando di applicarle, anche se molto raramente.

“Beati voi, che ora piangete,

perché riderete.

22Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. 23Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti.

24Ma guai a voi, ricchi,

perché avete già ricevuto la vostra consolazione.

25Guai a voi, che ora siete sazi,

perché avrete fame.

Guai a voi, che ora ridete,

perché sarete nel dolore e piangerete.

26Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti.

27Ma a voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, 28benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male.

29A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica. 30Da’ a chiunque ti chiede, e a chi prende le cose tue, non chiederle indietro.

31E come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro. 32Se amate quelli che vi amano, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori amano quelli che li amano. 33E se fate del bene a coloro che fanno del bene a voi, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori fanno lo stesso. 34E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. 35Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell’Altissimo, perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi.

36Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso.

37Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. 38Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio».”

Alcune parole di Cristo sono comprensibili tipo “E come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro” o “Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati”, come Papà Francesco ci ricorda continuamente per esempio quando disse “Chi sono io per giudicare un gay?” sull’aereo, di ritorno dal viaggio in Brasile nel luglio 2013.

Leggo e rileggo San Luca ma trovo sempre difficile questo testo e spero che la fede mi aiuti ad applicarle.

Non ho altri commenti ma volevo sottoporre ai lettori della rubrica queste parole in modo da dare la possibilità di una anche pur breve riflessione intima, sempre più necessaria nel nostro contesto assordante.

 

IMPARIAMO AD ASPETTARE

David A. Fletzer

Amando la storia mi è capitato di seguire una puntata, su Rai-storia, sulla difesa strenua dei russi nei confronti dell’esercito tedesco nell’assedio/battaglia di Stalingrado che si svolse tra l’estate del 1942 e febbraio 1943e che certamente rappresentò un momento fondamentale della 2° guerra mondiale.

In questa trasmissione è stata citata questa poesia “Aspettami ed io tornerò” dello scrittore russo Simonov (Konstantin Michajlovič Simonov, pseudonimo di Kirill Michajlovič Simonov), nato a Pietrogrado il 28 novembre 1915 e morto a Mosca il 28 agosto 1979.

Questa poesia (in questi tempi abbiamo bisogno sempre più di poesia, secondo me) non necessita di alcuna parola (tutta la poesia deve arrivare a ciascuno di noi senza alcun filtro o inutile commento) ma in un periodo storico di fastlife e dove la memoria di ogni tipo è completamente assente invitare ad ASPETTARE QUALCUNO CHE APPARENTEMENTE NON C’È PIÙ, stigmatizzando coloro che dicono “che è tempo di dimenticare” è uno splendido messaggio, vecchio ma anche moderno. Fermiamoci a volte per riflettere, pregare o cercare chi sta nella stanza accanto ma che non vediamo, accecati a volte dall’ambizione o dalla foga di accumulare potere e soldi.

Bisogna imparare, sapendo ricordare, ad aspettare perché il futuro parte sempre da quello che abbiamo vissuto e siamo le persone che abbiamo frequentato e continuiamo a frequentare, anche se non ci sono più.

Aspettami ed io tornerò diKonstantin M. Simonov

Aspettami ed io tornerò,
ma aspettami con tutte le tue forze.
Aspettami quando le gialle piogge
ti ispirano tristezza,
aspettami quando infuria la tormenta,
aspettami quando c’è caldo,
quando più non si aspettano gli altri,
obliando tutto ciò che accadde ieri.
Aspettami quando da luoghi lontani
non giungeranno mie lettere,
aspettami quando ne avranno abbastanza
tutti quelli che aspettano con te.

Aspettami ed io tornerò,
non augurare del bene
a tutti coloro che sanno a memoria
che è tempo di dimenticare.
Credano pure mio figlio e mia madre
che io non sono più,
gli amici si stanchino di aspettare
e, stretti intorno al fuoco,
bevano vino amaro
in memoria dell’anima mia…
Aspettami. E non t’affrettare
a bere insieme con loro.

Aspettami ed io tornerò
ad onta di tutte le morti.
E colui che ormai non mi aspettava,
dica che ho avuto fortuna.
Chi non aspettò non può capire
come tu mi abbia salvato
in mezzo al fuoco
con la tua attesa.
Solo noi due conosceremo
come io sia sopravvissuto:
tu hai saputo aspettare semplicemente
come nessun altro.

 

Mostra su Pelè e Garrincha

David A. Fletzer

Dal  27 giugno al 27 luglio, quindi prorogata fino al 7 settembre per il gradimento e l’interesse riscontrato, si è svolta a Roma presso l’ambasciata brasiliana ( precisamente presso la galleria Candido Portinari e la Biblioteca Tullio Ascarelli del palazzo Pamphilj) a piazza Navona si è,svolta una mostra di foto e video su Pelè e Garrincha in occasione dei campionati mondiali di calcio svoltisi in Russia.

Ora chi mi conosce si potrà stupire per questa recensione, visto lo scarso interesse mostrato dal sottoscritto per un gioco di 22 individui che corrono dietro un pallone ma in effetti non é vero che proprio mi disinteressa questo sport, anche alla luce del mio tifo per la Fiorentina, anche quando era scesa in serie C.

Ma il vero interesse per questa mostra, che poi ho visitato, è in effetti derivato dalla rivelazione che mi fece un giorno un sagace infermiere romano dicendomi il soprannome che era stato dato ad un noto Fisiatra e cioè lo chiamavano Garrinchaper la sua abilità nel dribblarei problemi che il personale gli poneva. Non conoscevo quel giocatore brasiliano e mi rimase l’interesse nel conoscerlo e quindi quando ho visto il manifesto di questa mostra non sono riuscito a non andarla a vedere ripercorrendo le tappe di Pelè, il prodigioso fuoriclasse che ha segnato la storia calcistica e che ha saputo convivere con la propria fama sapendola gestire molto bene, e di Garrincha, che nonostante i suoi splendidi risultati sportivi fu schiacciato dal successo pur sapendo colpire i cuori di tanti tifosi per la straordinaria e triste storia di questo campione.

I due giocatori brasiliani giocarono insieme nella loro nazionale senza mai perdere una partita registrando 35 vittorie 5 pareggi, come ricorda Antonio Lombardo, collaboratore della Mostra e autore deIl passerotto di Magé, romanzo liberamente ispirato alla vita di Garrincha.

Ma i due importanti sportivi si sono anche spesso confrontati negli incontri, nel campionato brasiliano, fra le loro squadre di appartenenza, come nell’esempio della foto dove Pelè indossava la casacca del Santos e Garrincha quella del Botafogo.

Pelé é stato un giocatore molto arguto raggiungendo quasi la perfezione, al punto che nel video proiettato nella mostra sono raccolti anche i suoi errori pur sempre però espressioni di grandi abilità tecniche e quindi giustamente chiamato O Rei, la Pérola negra.

Mané Garrincha, fantasia ed estro pur soffrendo di problemi fisici, ha manifestato con i suoi straordinari dribbling il gioco del calcio più divertente ed allegro, tipico dei carioca.

La mostra presenta foto dei due campioni e dei campionati mondiali del 1958 svoltisi in Svezia (la 1 coppa Rimet vinta dal Brasile), del 1962 in Cile dove Pelé si infortunò alla seconda partita con la Cecoslovacchia e quindi Garrincha dovette diventare il leader della squadra che vinse così la sua seconda Coppa mondiale e Mané divenne il pallone d’oro ed il capocannoniere di quella edizione cilena.

La rassegna si conclude con le foto del terzo titolo vinto dal Brasile in Messico nel 1970 proprio contro l’Italia e dove Pelé si

consacrò come mito.

E così uscendo dell’ambasciata conoscevo meglio una importante pagina del Paese sudamericano ma ho anche capito meglio le capacità di un Fisiatra romano e forse ho riconosciuto anche un altro Fisiatra in O Rei.

Ciò che i Finzi-Contini non videro

 

Il 4 luglio su Repubblica a pagina 31 ho letto un interessante articolo di Ian Buruma, direttore della New York Review of Books, tradotto in italiano da Marzia Porta e che si intitola “Ciò che i Finzi-Contini non videro” e che vorrei proporre perché secondo me induce notevoli riflessioni ed indipendentemente dalle proprie convinzioni politiche.

“Paragonare i demagoghi di oggi a Hitler non è quasi mai una buona idea. Un atteggiamento simile banalizza gli orrori compiuti dal regima nazista e distoglie dai nostri problemi. Ammesso che l’allarmismo possa essere controproducente, occorre però domandarsi quando le democrazie siano davvero a rischio. Ciò che sino a pochi anni fa era inimmaginabile- un Presidente USA che insulta gli alleati e loda i dittatori, definisce la stampa libera un nemico, mette in galera i rifugiati e toglie loro i figli-é diventato la norma. A che punto sarà troppo tardi per dare l’allarme? Su questa domanda sono stati scritti alcuni grandi libri. Il Giardino dei Finzi-Contini, capolavoro di Giorgio Bassani, descrive l’esistenza dei borghesi italiani durante il fascismo. Attorno a questi personaggi colti che danno per scontata la loro vita agiata, viene a stringersi lentamente un cappio ammantato di legittimità legale e sociale. Eppure essi non se ne accorgono. Il padre del protagonista si iscrive persino al partito fascista mentre i Finzi-Contini, più ricchi, si rinchiudono nella cerchia familiare, in un distacco aristocratico. Orgoglio e scarsa lungimiranza impediscono loro di vedere il pericolo, sino a quando non verranno deportati nei campi di concentramento.

L’altro grande libro incentrato sulla capacità umana di capire cosa sta accadendo è Un tedesco contro Hitler: l’auto biografia che Sebastian Haffner scrisse nel 1939, un anno dopo aver lasciato la natia Germania. Haffner – che all’epoca era uno studente di giurisprudenza – ebbe modo di assistere all’instaurarsi della dittatura nazista che come nel clima opprimente dell’Italia dei Finzi-Contini si insinuò progressivamente. E si accorse di come i suoi compagni di università, nessuno dei quali era nazista, avevano accettato ogni nuova decisione – l’applicazione delle leggi razziali, l’abrogazione della Costituzione e via dicendo-perché era stata presentata come legittima. Senza rendersi conto che era stato superato un limite invalicabile, di fronte al quale l’unica risposta adeguata è la resistenza o l’esilio. Haffner (che non era ebreo) se ne accorse e lasciò la Germania nell’anno in cui le sinagoghe furono date alle fiamme e gli ebrei cacciati dalle loro case. I Finzi-Contini sono probabilmente più numerosi degli Haffner. Dormire sonni tranquilli è difficile quando si vive in una condizione di allarme mentre quando il mondo ci appare normale-anche se non lo è-la vita è più semplice. Ci sono molti modi di nascondere la testa nella sabbia e diversi analogie accomunano la nostra epoca e l’Europa dei primi anni Trenta. Molti uomini d’affari, industriali e politici tedeschi (conservatori, ma non nazisti) pensavano che sarebbero riusciti a convivere con Hitler, a patto di poter trarre vantaggi economici dal suo governo. Egli non era che un volgare parvenu, dai modi di certo non raffinati, ma loro sarebbero riusciti a controllarlo.

La mancanza dì immaginativa é un altro dei motivi che impediscono alle persone di comprendere ciò che sta per accadere. La conoscenza della storia può aiutarci a riconoscere alcuni modelli di comportamento che in passato hanno condotto alla tirannia,come gli attacchi alla magistratura indipendente (aggiungo io vedi quello che sta succedendo in questo periodo in Polonia ed in Turchia). Tuttavia anche la memoria storica, che spesso si fonde con il mito, può compromettere la capacità degli uomini di vedere con chiarezza ciò che sta accadendo. Nei Paesi dove esiste una tradizione democratica é facile presumere che “qui non potrebbe mai accadere” perché “le nostre istituzioni sono troppo forti” o “il nostro popolo ama troppo la libertà” o una data nazione é “troppo civilizzata” o “troppo moderna” per scivolare nella barbarie. Simili errori di valutazione possono interessare tanto la sinistra quanto la destra conservatrice. Negli anni Venti sia i comunisti (su indicazione di Stalin) che i non comunisti si rifiutarono di difendere la fragile Repubblica di Weimar quando questa fu presa d’assalto dalla destra. Agli occhi dei comunisti, i democratici rappresentavano un pericolo più temibile dei nazisti, mentre gli intellettuali di sinistra erano distratti dall’ipocrisia e dalla corruzione dei partiti che avrebbero dovuto sostenere.

Donald Trump non sarà forse l’ incarnazione di Hitler (aggiungo io certamente no ma forse più simile al Presidente americano Wilson durante la 1 guerra mondiale che pensava di poter fare a meno dell’Europa e che quindi permise dal 1914 al 1917 la carneficina umana di quella guerra), ma l’ accettazione con cui i repubblicani hanno accolto ogni decisione che lo ha allontanato dalle norme democratiche, civili e liberali non lascia presagire nulla di buono. Così come la convinzione dell’ estrema sinistra, secondo la quale Trump non è poi così diverso da Clinton o da Obama, ma a differenza di loro è pronto a denunciare più sfacciatamente le ingiustizie del neo-liberalismo. In entrambi i casi, i pericoli rappresentati oggi dal populismo di destra sono sottovalutati o ignorati.

La stampa mainstream, tanto vituperata in quanto “nemica del popolo”, è ancora solida, ma la sua influenza si va affievolendo (aggiungo io vedi la recente chiusura del Daily News, primo quotidiano nel 1919 in formato tabloid). Ciò che si legge sul New York Times o sul Washington Post ha una risonanza minore rispetto ai tweet presidenziali, che raggiungono senza intermediari milioni di persone e vengono poi ripresi dai programmi radiofonici o televisivi di parte. In una società polarizzata, i politici che agitano le masse facendo perno sulla paura e sul risentimento (aggiungo io che però è pure un profondo errore ignorare queste esigenze della base, sottovalutandole con tipico snobismo elitario) hanno maggiori probabilità di successo rispetto a personaggi meno appariscenti che tentano di fare appello alle nostre facoltà più razionali. I partiti politici che si oppongono alle tendenze anti-liberali si trovano in un serio impaccio: se reagiscono alla rabbia e all’idealismo spostandosi troppo a sinistra, rischiano di perdere i voti essenziali del centro. Se scelgono dei candidati centristi che propendono per delle riforme anziché per un cambiamento radicale, possono perdere l’appoggio dei giovani più infervorati.

Eppure le libertà vanno difese e per poterle difendere con efficacia occorre riuscire a vedere le minacce. Il momento in cui la gente smette di credere che sia ancora possibile fermare i demagoghi è già troppo tardi.”

Penso che questa lettura possa essere stimolante. Io stesso non condivido alcuni pareri espressi dall’autore ma capisco che bisogna stare attenti nei distinguo in quanto poi il passo verso la dittatura è molto breve e non penso tanto al nostro Paese, anche se siamo ad 80 anni dal manifesto sulla razza fatto da intellettuali e scienziati compiacenti e poi adottato dal regime fascista, ma ad altre realtà europee, già nel passato inneschi di guerre mondiali.

David A. Fletzer

 

 

LETTERA DI GRAMSCI AL FRATELLO PIÚ GIOVANE CARLO IL 12 SETTEMBRE 1927 DAL CARCERE DI SAN VITTORE-

frasi attuali eticamente e ottime per una riflessione sotto l’ombrellone

Il 4 luglio su Repubblica mi è capitato di leggere la rubrica “Le lettere di Corrado Augias” dove è riportata in parte la lettera di Gramsci al fratello Carlo e pur essendo lontano anni luce dal pensiero gramsciano e dalla sua ideologia mi è piaciuta moltoper il valore etico che ho ritrovato e per la speranza per il futuro che spesso ho perduto e quindi riporto qui alcuni passaggi significativi che appunto mi hanno colpito.

“ Mi pare che siano quasi 22 anni da che ho lasciato la famiglia; da 14 anni poi sono venuto a casa solo due volte, nel ‘20 e nel ‘24. In tutto questo tempo non ho mai fatto il signore; tutt’altro; ho spesso attraversato dei periodi cattivissimi e ho anche fatto la fame nel senso letterale della parola……. . Io ebbi una stanzetta che aveva perduto tutta la calce per l’umidità e aveva solo un finestrino che dava in una specie di pozzo, più latrina che cortile.Mi accorsi subito che non si poteva andare avanti …… Incominciai col non prendere più il poco caffè al mattino, poi rimandai il pranzo sempre più tardi e così risparmiavo la cena. Per 8 mesi circa mangiai così una sola volta al giorno e giunsi alla fine del 3° anno di liceo, in condizioni di denutrizione molto gravi ….. . Non so come ho fatto a dare gli esami, perché sono svenuto due o tre volte…. . Mi sono convinto che anche quando tutto è o pare perduto, bisogna rimettersi tranquillamente all’opera, ricominciando dall’inizio. Mi sono convinto che bisogna sempre contare solo su se stessi e sulle proprie forze; non attendersi niente da nessuno e quindi non procurarsi delusioni. Che occorre proporsi di fare solo ciò che si sa e si può fare e andare per la propria via. La mia posizione morale è ottima:chi mi crede un satanasso, chi mi crede quasi un santo. Io non voglio fare né il martire né l’eroe. Credo di essere semplicemente un uomo medio, che ha le sue convinzioni profonde, e che non le baratta per niente al mondo.”

Mi sono ritrovato in molte delle sue parole e penso possa aiutare noi tutti in una riflessione estiva sul presente a tutti i livelli.

David A. Fletzer

Hotel GAGARIN e DOGMAN dal cinema che realizza i sogni al film ispirato alla storia violenta di 30nanni fa

David Antonio Fletzer

Da poco è uscito il film Hotel Gagarin di Simone Spada, che debutta nella regia dei lungometraggi, con Giuseppe Battiston, Claudio Amendola, Luca Argentero, Barbora Bobulova, Silvia D’Amico, Philippe Leroy e Caterina Shulha. Il film si svolge in Armenia e precisamente sul lago di Sevan, vicino al confine con l’Azerbajgian con cui l’Armenia è ancora in guerra dopo il conflitto fra il 1992 ed il 1994 scatenatosi in conseguenza della dichiarazione d‘ indipendenza, avvenuta il 6 gennaio del 1992,della Repubblica del Nagorno Karabakh. Il conflitto armato con migliaia di morti si è svolto tra il gennaio 1992 e il maggio 1994, nella piccola enclave del Nagorno Karabakh, nel sud-ovest dell’Azerbaigian, tra la maggioranza etnica armena della nuova Repubblica, sostenuta dalla Armenia, e l’Azerbaigian, dopo il dissolvimento dell’Unione Sovietica.

Sono un amante dell’Armenia e del popolo armeno che ha vissuto da parte dei turchi di un genocidio di cui non di parla mai abbastanza e tuttora il confine fra la Turchia e l’Armenia è chiuso ed è tenuto sotto il controllo dall’esercito russo. L’Armenia è un magnifico Paese per i suoi splendidi paesaggi e rivederlo nel film trasmette la voglia di andarci o tornarci. Ma il film è per i cinefili che amano l’arte del cinema, strumento per realizzare i sogni o comunque per SOGNARE e difatti i protagonisti, una sgangherata troupe cinematografica, bloccati appunto al hotel Gagarin dalla guerra, decidono di attuare nella finzione cinematografica le richieste dei cittadini locali di vivere finalmente i propri sogni, fantasie di gente schietta e buona nella propria semplicità. E cosa é appunto la grandezza del cinema se non vedere storie inventate o storie vere i cui retroscena sono sempre misteriosi e che al cinema possono essere spiegati: una realtà scenica che va dai supereroi alle storie dei veri eroi, dalla fantascienza alla storia passata, dagli amori ai grandi difetti umani, come l’odio, l’invidia, la cattiveria.

Un mondo semplice che spesso non conosciamo più e che quando lo riscopriamo riusciamo ad apprezzarlo più della realtà moderna, basata solo sui valori economici e di potere, per i quali siamo disposti a perdere il senso reale della VITA UMANA. Tanti film hanno trattato in qualche modo del cinema e vorrei ricordare solo NUOVO CINEMA PARADISO di Tornatore ma Hotel Gagarin è una piacevole commedia su questo argomento che mi sento di consigliare.

Noi tutti sogniamo quando stiamo davanti ad uno schermo, piccolo o grande, per esempio quando vorremmo incontrare nella nostra realtà il dottor Kildare o il dr Who o il dr. Douglas di ER o anche semplicemente il dr. Martini del Medico in famiglia piuttosto di qualche collega che senza nemmeno visitarci o ascoltarci pontifica con la propria boriosa sentenza in una visita di nove minuti di media (Repubblica del 23 gennaio 2018 pagina 6).

E parlando dell’uomo semplice voglio ricordare un altro film italiano, in questi giorni nelle sale, DOGMAN di Matteo Garrone con un fantastico Marcello Fonte. La storia si ispira ad un fatto realmente accaduto nel 1988 ovvero all’omicidio tramite lunghe e inenarrabili torture di Giancarlo Ricci da parte Pietro De Negri, detto il Canaro della Magliana. Ricordo che a suo tempo personalmente capii e condivisi nelle discussioni di quell’epoca l’esasperazione del mite Canaro sostenendo che era giusta la vendetta di chi aveva subito per tanto tempo vessazioni, ingiustizie e minacce. Il film non mi è piaciuto per il clima giustamente cupo e l’ambiente violento e degradato rappresentato, che certamente fanno capire bene il clima in cui era cresciuto il desiderio della vendetta. Come ho detto non mi è piaciuto il film ma certamente merita di andarlo a vedere per apprezzare il protagonista, giustamente premiato a Cannes con la palma d’oro. Marcello Fonte è splendido in questo film perché riesce ad esprimere magnificamente la mitezza e la semplicità del personaggio che poi esplode nell’orrore della vendetta omicida.

E parlando di vendetta mi piace ricordare, a me stesso ma anche a voi lettori, il detto orientale che “ i torti vanno scritti nella sabbia in modo che il vento del perdono li possa disperdere mentre i favori vanno scritti nella pietra perché restino nella nostra memoria” ma ……… purtroppo sono ancora troppo occidentale e mi piace sognare andando al cinema, auspicando che i sogni diventino realtà.

LORO 1-LORO 2-SI MUORE TUTTI DEMOCRISTIANI-IN ITALIA VIOLARE LA LEGGE CONVIENE. VERO! 

3 film ed 1 libro per riflettere sulla nostra etica

David A. Fletzer

In questi giorni al cinema sono presenti 3 film che in qualche modo affrontano la crisi morale della società italiana e del livello di corruzione presente diffusamente in Italiae se è etico fare il bene con risorse ottenute tramite il male.

Direi anche, ma questa è una personale lettura che non c’entra con i 3 film, “É giusto combattere il male usando i suoi stessi strumenti?”

Ma parliamo dei 3 film di cui due sono del regista, premio Oscar con “La grande Bellezza”, Paolo Sorrentino e cioè LORO 1 e LORO 2, una libera interpretazione della vita di Berlusconi e che mostra un Paese dove la droga serve per togliere inibizioni etiche e si utilizza sesso per vincere appalti o divenire eurodeputati o far carriera nel mondo del cinema e delle televisioni. Una Italia apparentemente lontana da quella del dopo-guerra di De Gasperi, Nenni, Pertini e Moro, di cui questo anno è il quarantesimo dell’omicidio suo e della sua scorta e che probabilmente merita una riflessione a parte.

Un dopoguerra che ha portato un grosso benessere economico e un periodo lungo di pace che il nostro continente non ha mai conosciuto ma che ha visto crescere nel nostro Paese illegalità e una corruzione di base, dove prevale praticamente in tutti l’eticità della raccomandazione e del MI MANDA PICONE (altro film spettacolare), dove per avere una carta d’identità o anche una visita medica scrupolosa, pur essendo a pagamento, bisogna conoscere l’amico dell’amico. Insomma un risvolto di tipo corruttivo del famoso NON SA CHI SONO IO.

Questi film di Sorrentino affrontano venti anni della nostra storia tramite la vita di Silvio e di Veronica, dove per solo poter parlare con LUI si era disposti (uomini e donne) a tutto. Nessuna coercizione ma uno spontaneo desiderio di poter essere il vassallo del potente di turnoe questo lo si vede non solo nei corridoi politici ma anche, per restare nel nostro mondo, in quelli delle università, dei reparti di cliniche private o di ospedali.

Sempre meno meritocrazia e sempre più Yesmenper gestire un proprio utile\affare. I due film non passeranno alla storia del cinema italiano ma certo può essere utile andare a vederli per una riflessione con se stessi ovvero su quanta corruzione ha invaso le nostre cellule, sperando di avere ancora una propria coscienza che ci faccia vedere cosa non è corretto in noi.

Il terzo film è SI MUORE TUTTI DEMOCRISTIANI diretto da ll Terzo Segreto di Satira (Pietro Belfiore, Davide Bonacina, Andrea Fadenti, Andrea Mazzarella e Davide Rossi) che tratta della storia di tre colleghi e amici da una vita che ricevono una offerta che potrebbe finalmente permettere loro di attuare i loro sogni. Una società onlus, che si occupa di immigrazione, li ingaggia per fare un documentario, offrendogli un importante compenso economico. I problemi nascono quando il capo della onlus viene coinvolto in uno scandalo di riciclaggio di denaro e truffa ai danni degli immigrati. Il dilemma dei tre ragazzi è lineare ma complesso ovvero sono disposti a rinnegare tutto ciò in cui hanno sempre creduto nel nome di “una buona causa”? È moralmente accettabile fare cose pulite con soldi sporchi?

Il giornalista Peter Gomez, interpretando se stesso, si chiede nel film “E poi anche se sono soldi sporchi, in Italia chi ti scopre?!” E qui si potrebbe parlare dei tempi della giustizia e di chi ha veramente interessi che la giustizia sia lunga e quindi inefficace (se la giustizia non è veloce in un paese dai mille condoni serve a poco). Ho grande stima dei magistrati che fanno un lavoro veramente difficile in quanto giudicare è certamente una azione molto complessa e non sopporto spesso quella critica generalizzata a questi professionisti, sotto per giunta la scusa ipocrita del garantismo. Ed allora dopo questi 3 film vorrei consigliare l’ultimo libro del giudice Piercamillo Davigo “ In Italia violare la legge conviene. VERO!”, dove è triste leggere “ in Italia a rispettare le leggi sono i fessi, a violarla i furbi”. D’altro canto è consuetudine dire che le leggi si interpretano con gli amici e si applicano con i nemici. Sempre Davigo ricorda in una recente intervista che negli USA Madoff fa una catena di Sant’Antonio e viene condannato a 155 anni che sta scontando mentre in Italia il suo reato sarebbe finito in prescrizione per cui un truffatore fra i possibili 155 anni di galera e niente dove dovrebbe andare, secondo Voi, se volesse fare una truffa.

Gesù (Luca 6,41), oltre 20 secoli fa, ci insegnava ” Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio?”

Giudizio Universale. Michelangelo and the secrets of the Sistine Chapel

Dal 15 marzo all’Auditorium di via della Conciliazione (realizzato dai famosi architetti Piacentini e Calza-Bini nel 1948-50) di 1750 posti a Roma è in scena il nuovo spettacolo di Marco Balich (già curatore dello spettacolo di inizio delle Olimpiadi invernali di Torino del 2006 e delle Olimpiadi di Rio del 2016) su Michelangelo.

Uno spettacolo stile nord-americano, tipo quelli dei famosi parchi divertimento statunitensi, che certamente affascina per la tecnologia usata con proiezioni a 270°, immersività e proiezioni di luci veramente spettacolari. Spettacolo in italiano od inglese a secondo dei giorni di proiezioni con però la possibilità per turisti di altri paesi di prendere audioguide in otto altre lingue. Quindi uno spettacolo rivolto al pubblico italiano ma specialmente alle comitive straniere che vengono a visitare la capitale e che certamente restano affascinati dalle bellezze del nostro Rinascimento.

Lo spettacolo tratta della vita artistica di Michelangelo e parte proprio dalla scelta dei marmi per il suo David, conservato all’Accademia di Firenze, e riguarda principalmente i desideri di Papa Giulio II di lasciare alla umanità una bellezza indescrivibile ovvero la CAPPELLA SISTINA, voluta da Sisto IV della Rovere, con gli affreschi di Michelangelo per la volta fino ad arrivare a Clemente VII che commissionò proprio a Michelangelo nel 1536 l’enorme affresco del Giudizio universale.

Lo spettacolo molto stelle e striscie, come dicevamo e nel senso migliore della parola, con un budget di 9 milioni di euro ha un Dream Team con Metcalfe alle musiche, Vacis alla supervisione teatrale, Halle per il video design, Nikolau alle coreografie, la Helbek come co-regista, con Favino che presta la voce a Michelangelo e tema musicale principale di Sting.

Ma se la parte spettacolare è stata molto curata, non da meno è stata presa in considerazione la consulenza scientifica affidata ai Musei vaticani che hanno potuto fornire immagini ad altissima risoluzione della cappella SISTINA. Questa collaborazione è iniziata con il precedente Direttore, Antonio Paolucci, già 3 anni fa e continuata con l’attuale Direttrice Barbara Jatta, e che ha visto anche l’intervento di Mons. Nicolini e di Mons. Viganò, prefetto della Segreteria per la comunicazione del Vaticano.

Uno spettacolo, con 40 mila prevendite e 15 mila studenti prenotati ancora prima del debutto, che certamente sarà nella storia degli eventi nazionali e che negli anni farà dire IO L’HO VISTO e che comunque ha il merito di far risaltare uno dei principali capolavori della storia artistica umana e che certamente incoraggerà ancora di più a far percorrere allo spettatore quel chilometro che separa l’auditorium con la Cappella ricostruita elettronicamente dalla vera Cappella Sistina.

Insomma se capitate a Roma andate a vederlo

David A. Fletzer

TORNA anche nel 2018 CINEMADAYS a 3 €

Dopo il successo delle edizioni precedenti torna Cinemadays: l’iniziativa che prevede il biglietto d’ingresso nelle sale cinematografiche a soli 3 euro. L’iniziativa prevede l’ingresso scontato a tre euro in tutti i cinema d’Italia aderenti in tre diversi periodi: dal 9 al 12 aprile, dal 9 al 15 luglio e dal 24 al 27 settembre. E poi  dal 9 al 15 agosto per sette giorni nelle sale si terranno proiezioni di anteprime della nuova stagione cinematografica. L’iniziativa è promossa dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo in collaborazione con ANICA- Associazione Nazionale Industrie Cinematografiche Audiovisive e Multimediali e i produttori, i distributori e gli esercenti cinematografici al fine di portare sempre più persone al cinema, specie nei mesi estivi. Tutte le informazioni riguardo i cinema aderenti saranno disponibili sul sito internet dedicato, realizzato dal Ministero

MOSTRA HUMANA+ IL FUTURO DELLA NOSTRA SPECIE

Palazzo delle Esposizioni Roma

Dal 27 febbraio al 1 luglio al Palazzo delle Esposizioni (via Nazionale 194, non lontano dalla stazione Termini) vi è una interessante mostra sul futuro dell’umanità divisa in 5 sezioni:

  • CAPACITÀ AUMENTATE Quale superpoteri ti piacerebbe avere?
  • INCONTRARE GLI ALTRI La realtà virtuale diventerà la nuova realtà ?
  • ESSERE ARTEFICI DEL PROPRIO AMBIENTE Modificando l’ambiente, dovremo cambiare anche noi per adattarci?
  • I LIMITI DELLA VITA Chi avrà la proprietà dei materiali genetici nel futuro?
  • UMANO, SOVRAUMANO? Io esisto perché penso dice il robot di Asimov in Reason.

Come saremo fra 100 anni in un mondo sempre più tecnologico? La mostra cerca di farci vedere i possibili percorsi futuri dell’umanità ed il segno + indica un orientamento positivo per il nostro futuro che vedrà sempre più l’integrazione fra la biotecnologia, la robotica e l’intelligenza artificiale. La mostra mette in evidenza anche possibili provocazioni (come per esempio le nuove definizioni della nascita e della morte ed i loro limiti in continuo mutamento) che ci pongono inevitabilmente problemi di etica. La scienza e la tecnologia progrediscono rapidamente: dobbiamo accettare che la nostra mente, il nostro corpo e la nostra vita quotidiana vengano modificati oppure esistono limiti che non andrebbero superati? In modo consapevole o meno stiamo delineando il nostro futuro e ogni disciplina avrà un ruolo in questo percorso

La mostra inizia con la registrazione di 22’ per TEDMED del 2009 su “L’opportunità delle avversità” della atleta statunitense di Aimee Mullins (atleta paralimpica, attrice e modella statunitense, conosciuta per le sue prestazioni atletiche, nonostante abbia subito l’amputazione di entrambe le gambe quando aveva un anno e sopranominata “gambe da ghepardo” con le protesi che indossa) che parla splendidamente di disabilità e che ognuno di noi dovrebbe vedere (https://ted.com/talks/aimee_mullins_the_opportunity_of_adversity?utm_source=tedcomshare&utm_medium=email&utm_campaign=tedspread) perché è una splendida lezione sul valore della medicina riabilitativa, intesa nel senso dei presupposti culturali all’ICF. La Mullins nel 1996, ai Giochi paralimpici di Atlanta, stabilì il record personale nei 100 metri piani, con il tempo di 17″01, e nel salto in lungo, con la misura di 3,14 m.

Gli uomini hanno sempre costruito strumenti per mantenere, un tempo, od ora anche accrescere le proprie capacità e così le protesi esterne, usate all’inizio per sostituire parti del corpo, a volte sono divenute strumenti per amplificare a volte anche le funzioni fisiologiche, rischiando di trasformarci in cyborg interessati solo alle prestazioni. La prima sezione della mostra presenta una serie di metodi fisici, chimici e biologici per potenziare la mente e il corpo e viene presentato il progetto per ARTI ALTERNATIVI del 2011/15 di Sophie De Oliveira Barata.

La mostra prevede anche 9 conferenze, i giovedì alle 18.30, che vedono coinvolti importanti personaggi del mondo scientifico e culturale e che termineranno il 17 maggio con Rino Falcone dell’Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione del CNR che tratterà “la dimensione artificiale del futuro: la cognizione alla prova delle tecnologie intelligenti”.

La mostra è certamente interessante e stimolante e merita di andarla a vedere in compagnia perché molte cose esposte meritano discussioni, chiarimenti, confronti.

Non so se mi piace il futuro prospettato perché la tecnologia evolve ma i valori umani, restando fortunatamente sempre uguali (come la memoria, la riconoscenza, l’amicizia, l’amore, l’onestá, la meritocrazia ecc….), rischiano degli aggiornamenti spesso ambigui.

David A. Fletzer

4 OSCAR alla FORMA DELL’ACQUA

di David A. Fletzer

In una giornata come il 5 marzo dove i commenti politici sui risultati elettorali (ottima la frequenza elettorale e complimenti ma anche un grande in bocca al lupo a Di Maio ed a Salvini) hanno ovviamente rappresentato il monopolio dei programmi televisivi e delle notizie giornalistiche, che logicamente hanno riguardato anche la tristissima notizia della morte del capitano della Fiorentina (e da tifoso dei Viola la notizia mi ha colpito ancora di più), voglio invece affrontare la notte della 90° edizione degli Oscar e specificatamente la vittoria di Guillermo del Toro e cioè di THE SHAPE OF WATER.

Un film bello anche se con scene a volte molto “forti” e certamente un film molto particolare che però ha per me l’indiscusso merito di affrontare in modo onirico il problema della DIVERSITÀ. Un film fantasy, dark che si svolge negli USA degli anni ‘60 ovvero in una America maccartista di guerra fredda fra i due blocchi.

Ma il film, che ha numerosi richiami a film cult e che certamente apprezzano i cinefili, ha il merito di capire che la diversità è una ricchezza e non può essere vissuto come un pericolo.

Opinioni diverse e posizioni intellettuali differenti sono un modo per crescere e guai al sistema che ama governare senza sentire le diversità o la base. Ma la diversità sta anche nell’origine messicana di del Toro e nell’oscar al film Coco, miglior film d’animazione e canzone originale, che si svolge nella caratteristica festa messicana dei morti e non penso siano eventi casuali in una nazione come gli Stati Uniti guidati dal Presidente Trump, che vorrebbe costruire un muro fra gli States ed il Messico.

Il film di del Toro è certamente una bella favola che vede una storia d’amore fra la protagonista muta ed un mostro acquatico su cui si concentrano le attenzioni degli apparati militari americani e dell’Unione sovietica, che lo vorrebbero far sparire e che poi si salverà per merito appunto della protagonista ma anche di uno scienziato russo, che rappresenta appunto la neutralità del mondo scientifico dagli apparati statali e che apprezza appunto lo studiare, senza colori e senza ideologie, ciò che è diverso. E’ un film secondo me non sempre affascinante in alcune parti ma certamente non è un film dove ci si addormenta e certamente questo è un merito del regista.

Colgo per segnalare anche uno spettacolo teatrale che sta girando nei nostri teatri ovvero “VINCENT VAN GOGH l’odore assordante del bianco” di Stefano Massini regia di Alessandro Maggi e con un bravissimo e per me sorprendente Alessandro Preziosi. Una piece teatrale sull’ultimo periodo di vita (1989) di Van Gogh, ovvero il tempo del grande pittore olandese nel manicomio di Saint Paul, e sul suo rapporto con il fratello Theo. Quindi un altro lavoro sulla diversità che si chiami genialità o follia e quindi sul contrasto fra il bianco dell’ambiente sanitario rispetto al colore dei quadri e della mente del maestro olandese, dal giallo accecante al blu luminoso. I dialoghi che Vincent ha con il fratello, con il Direttore del nosocomio e con i suoi “aguzzini sanitari” sono molto stimolanti, specie per i medici, come noi, che di norma si confrontano con la diversità.

Insomma tanti stimoli per la nostra crescita culturale che è indispensabile per la nostra professionalità oltre ovviamente alla formazion

 

COCO: un film Disney sul mondo dei morti secondo la tradizione messicana

di David Antonio Fletzer

Ai primi dell’anno sono stati comunicati i risultati del box office dei cinema nel 2017. Meno spettatori nelle sale e meno soldi in cassa: i cinema italiani hanno chiuso il 2017 con uno dei risultati peggiori degli ultimi cinque anni. E questo per effetto soprattutto del calo dei film made in Italy. Secondo i dati dell’Associazione nazionale industrie cinematografiche, audiovisive e multimediali, l’anno scorso le pellicole italiane hanno perso il 46,35% del box office e il 44,21% dei biglietti rispetto al 2016. E questi risultati nonostante il successo dei mercoledì a 2€ introdotti per iniziativa del Ministero competente. La “colpa” sarebbe specialmente dovuta all’assenza lo scorso anno di un film di Checco Zalone, che nel 2016 aveva sbancato i botteghini. Mi dispiace molto per la cinematografia italiana perché nel 2017 sono usciti 2 splendidi film, che pur essendo stati i primi per incassi, ovvero PERFETTI SCONOSCIUTI di Paolo Genovese e L’ORA LEGALE di Ficarra e Picone non hanno avuto il successo economico di QUO VADO? Comunque se qualcuno non li avesse visti consiglio vivamente di comprare i dvd perché sono due splendidi film, uno su la dipendenza ormai che abbiamo dai nostri cellulari, diventati scrigni dei nostri segreti o delle doppie vite e l’altro sulle comuni abitudini illegali della nostra quotidianità per cui amiamo la legalità esercitata solo dagli altri.

In ogni caso la riduzione nel 2017 degli incassi contrasta con la diffusione capillare dei film sui nostri dispositivi elettronici (chi non passa le ore di un viaggio in treno guardandosi un film nel proprio pc, chi ormai non ha abbonamenti per il proprio televisore ad aziende che programmano 24 ore su 24 film) a conferma dell’importanza dell’arte cinematografica che ci aiuta, come la lettura, a vivere esperienze che mai vivremmo nella nostra realtà. Tornatore ha raccontato magnificamente come un bambino può sognare davanti al grande schermo del NUOVO CINEMA PARADISO e mi insospettiscono coloro che non vogliono sognare leggendo un libro, ascoltando della musica, guardando un film o ammirando un quadro o una scultura.

A parte questi discorsi mi piace segnalarvi un film della Disney da vedere assolutamente ovvero COCO. Dire che è un film per bambini mi sembra assolutamente riduttivo o lo è come il vecchio FANTASIA (un capolavoro appunto della fantasia e con una straordinaria colonna sonora). Coco è il trionfo dei colori ed è la storia di un bambino messicano, amante della musica, che per la festa dei morti va a cercare nel mondo dei trapassati un parente che è stato un grosso musicista.

E qui da medico mi sono posto, dopo aver visto il film, il problema di come noi viviamo la morte dei nostri pazienti. La mia esperienza è che non siamo stati per niente formati su come gestire questa tappa fisiologica della vita e quindi viviamo la morte di chi ci si affida professionalmente come una sconfitta ed il nostro istinto in queste circostanze è di fuggire, delegando ad altre figure, tipo la caposala, anche la comunicazione ai parenti, che vengono spesso abbandonati. Pensiamo che con la morte il nostro compito sia finito, non pensando ai figli o ai/alle consorti. Partecipiamo alle nascite e non capiamo che la morte è un’ inevitabile fisiologica fase della vita di tutti e che necessita quei comportamenti di dignità per chi non c’è più e contemporaneamente di vicinanza per i parenti rimasti soli.

Vedere Coco mi ha aiutato a capire come i messicani vivono senza drammi la morte dei loro congiunti e di come il 1 novembre può essere vissuta come una grande festa, per niente triste.

Ho ricordato l’importanza, con un altro post, del valore che assegno alla MEMORIA e penso che ricordare chi non c’è più sia uno dei doveri di chi rimane ma il film disneyano mi ha aiutato a vivere questa memoria con allegria piuttosto che con quella tristezza che possiamo percepire nei nostri cimiteri, specie nei primi giorni di novembre.

Ma oltre a Coco consiglio di vedere anche NAPOLI VELATA di Ozpetek e THE PLACE di Genovese. Andate o vedeteli, quando esce il dvd, a casa però in compagnia perché sono film i cui finali meritano una discussione ed un confronto fra le interpretazioni possibili.

Per gli amanti della storia segnalo due altri film L’ORA PIÙ BUIA su Churchill, subentrato nel 1940 al pavido Neville Chamberlain, e l’ironico MORTO STALIN, SE NE FA UN ALTRO che tratta una pagina dell’Europa sovietica.

 

LINEA VERTICALE, FICTION SU RAI 3 – uno spaccato sugli ospedali

di David Antonio Fletzer

Da poche settimane Rai 3 trasmette il sabato sera la nuova fiction napoletana LINEA VERTICALE con il bravissimo Valerio Mastandrea, Babak Karimi, Greta Scarano, Giorgio Tirabassi, Paolo Calabresi, Ninni Bruschetta ed Antonio Catania per la regia di Mattia Torre e che si svolge totalmente in un ospedale. La storia inizia con una improvvisa ematuria da parte del protagonista e con la successiva diagnosi di tumore vescicale che richiede il ricovero in ospedale (urologia oncologica) per l’intervento.

Mastandrea felicemente sposato in attesa del secondo figlio passa da una vita felice ad una situazione di disperazione e deve interfacciarsi con la vita ospedaliera con le proprie regole scritte ma specialmente non scritte.

La storia a volte fra il provocatoria ed il satirico rappresenta secondo me molto bene i pregi ed i tanti difetti della vita in ospedale che ogni professionista dovrebbe vedere per farsi un esame di coscienza se quello che vede rappresenta a volte la propria realtà.

Lo sceneggiato rappresenta molto bene la realtà come viene vissuta dai pazienti e di come l’ospedale è organizzato per le esigenze più del personale che non dei malati e d’altro canto chiamare i ricoverati PAZIENTI fa capire tante cose.

A me ha ricordato tante esperienze vissute da operatore o da “cliente” e francamente mi ha suscitato molta tristezza.

Sono affrontati molto bene la difficoltà degli operatori ad ascoltare veramente i malati, la disperazione dei pazienti davanti al male e la loro fragile dipendenza dai medici e dagli operatori in generale, la visione del primario, specie se chirurgo, come di una divinità, le insulse ed inutili proibizioni di cui il ricoverato è il terminale (come per esempio il divieto di bere, non richiesto dalla radiologia, prima di una Tac nelle 24 ore precedenti), il valore negativo delle porte chiuse da non aprire, le avventure sentimentali-sessuali fra i vari operatori (forse un modo per cercare di dimenticare tutte le tragedie umani con cui si convive quotidianamente in certi ambienti).

Molto divertente ma tragicamente vero è quando la fiction affronta il problema dell’alimentazione e cioè dell’eccellenza del cibo italiano (specie negli ultimi anni), presente in tutte le riviste, trasmissioni televisive, discorsi fra amici con relativa pubblicazione di molti libri sull’argomento(“51 programmi televisivi, 259 periodici, 620 opere, 1015 siti dedicati al cibo” così riferisce il protagonista dello sceneggiato), in netto contrasto con lo schifo del cibo che si mangia in ospedale. E qualcuno potrebbe dire che deve essere così per problemi di salute ed allora basta vivere l’esperienza di ricoverato in un ospedale pubblico all’estero (tipo il Hopital Saint-Louis di Parigi) per capire quanto le nostre eccellenze culinarie si bloccano inspiegabilmente e senza motivo alle porte dei nostri ospedali. Questo spesso per superficialità, leggerezza, mancanza di adeguati controlli da parte della dirigenza e a volte anche interessi economici. E domenica 28 gennaio pure la Littizzetto a “Che tempo che fa” ha affrontato l’argomento del cibo negli ospedali.

Il protagonista Mastandrea dice verso la fine dello sceneggiato “Io sono contento di stare qui. Prima di ammalarmi mi ritenevo indistruttibile ma se devo essere sincero la mia vita non girava bene. Se mi fossi ascoltato di più avrei sentito che qualcosa non andava. La malattia è arrivata in maniera esplosiva, deflagrante. Ha cambiato tutto. E anche se è difficile ammetterlo ha cambiato tutto in meglio. Mi ha aperto gli occhi, la testa, il cuore. Ora ho nuovi desideri. Voglio essere centrato, voglio stare in piedi, voglio vivere in asse su una linea verticale. Non voglio avere paura perché la paura ti mangia e non serve a niente. Voglio pagare le tasse con gioia perché un ospedale pubblico mi ha salvato la vita senza chiedermi nulla in cambio. Voglio guardarmi intorno e vivere tutto quello che è possibile con generosità e vitalità. Questo tumore mi ha salvato la vita. Senza questo tumore sarei senz’altro morto.”

Direi che è una delle più belle dichiarazioni di amore per la vita ospedaliera e forse una delle dichiarazioni più convincenti sul ruolo catartico della malattia e giustamente arriva in modo laico e per niente religioso.

Forse tutte queste problematiche non dovrebbero essere solo oggetto di una bella fiction che denuncia ironicamente ma anche dettagliatamente tutti gli aspetti negativi di molti nostri ospedali. Queste problematiche dovrebbero essere anche oggetto di tavoli ministeriali e regionali oltre che di congressi scientifici che spesso hanno relazioni sulla centralità del paziente con splendide diapositive ma poi la realtà è tutt’altra.

Penso che la televisione, il cinema, i libri, i giornali devono aiutarci a migliorare la Società e questa fiction dovrebbe farci riflettere per poi tentare di CAMBIARE I NOSTRI COMPORTAMENTI.

Mi piace segnalare anche le musiche originali e orchestrate da Giuliano Taviani e Carmelo Travia che alleggeriscono la visione di certe scene/argomenti; stiamo sempre raccontando la storia di malati tumorali.

da Sanita informazione  L’intervista a Valerio Mastrandrea

RICERCA e FINANZIAMENTI: riflessioni dopo il caso Regeni

di David Antonio Fletzer          

       

Alcune settimane fa ho letto su La Repubblica un interessante articolo di Carlo Bonini “Regeni fa paura a Cambridge – è legittimo chiedere all’università inglese chi ha finanziato la ricerca di Giulio in Egitto?”

Conosciamo tutti, probabilmente, i fatti e le vicende riguardanti la morte, dopo essere stato torturato, di Regeni e sappiamo i grossi sospetti (per non dire quasi certezze) sull’agire delle forze dell’ordine egiziane e le difficoltà affrontate dal Governo e dalla Procura di Roma per cercare di far luce su questa tristissima vicenda, ma non voglio affrontare l’argomento che ha risvolti di politica interna ed internazionale.

Voglio, invece, riflettere su quello che fa emergere l’articolo, cioè sul rapporto fra Cambridge e questo assassinio. Dispiace leggere l’attacco del mondo accademico inglese che, anche tramite l’intervista del vice-Chancellor (praticamente il Rettore) dell’Università inglese, prof. Toope, si è scagliato contro la Procura e la stampa italiana, pur non citandoli mai, così come dispiace rilevare apparenti atteggiamenti omissivi provenienti non solo dal Paese medio-orientale. Recentemente la magistratura italiana ha finalmente interrogato la professoressa Maha Abdelrahman, tutor di Regeni, che finora, mi è sembrato, non era apparsa molto collaborativa nella ricerca della verità.

Il mondo scientifico inglese ha difeso il diritto della ricerca e della riservatezza dei finanziamenti, ma la ricerca non è libera se ha bisogno di finanziamenti segreti e, quando capitano eventi come quello successo allo studioso italiano, difendere il diritto dei ricercatori a non comunicare la provenienza dei fondi rischia di sembrare un atteggiamento omertoso, per non parlare di vera e propria possibile complicità.

Questo è il punto su cui desidero soffermarmi, cioè non vorrei affrontare il caso Regeni bensì l’etica dei finanziamenti per la RICERCA in generale, che proprio l’efferato omicidio del nostro connazionale ha drammaticamente evidenziato. Sicuramente dichiarare i finanziamenti della ricerca, una volta pubblicata, negli acknowledgements è eticamente valido, anche se forse non bisognerebbe dichiarare solo quelli direttamente rivolti alla ricerca in questione, ma anche quelli indiretti e destinati in vario modo ai ricercatori.

L’articolo di Repubblica si interroga su come mai nella sua ricerca, la griglia di domande che Regeni sottoponeva ai sindacalisti proponeva ossessivamente quesiti che avevano a che fare con la polizia e la repressione operata dagli apparati egiziani.

Negli ultimi anni sono state scoperte falsità in prestigiose ricerche internazionali ed è nota la probabile presenza di svariate “consorterie” nel mondo della stampa scientifica, a cui bisogna sottostare se si desidera pubblicare. E’ vero che la ricerca deve essere libera, ma perché deve anche essere auto-referenziata e senza alcun controllo da parte di organismi nazionali o sovranazionali? Parlando proprio della autonomia della ricerca, mi sembra importante sottolineare come a volte in alcuni lavori scientifici vengono inseriti nomi apparentemente estranei che probabilmente nulla hanno a che fare con la ricerca in questione e sono piuttosto frutto di accordi di convenienza e opportunità fra molti soggetti estranei al mondo culturale. E questi possibili accordi fanno parte di una ricerca libera?

Alla luce di queste osservazioni, che vengono periodicamente diffuse dalla stampa, forse il mondo politico e scientifico si dovrebbe porre alcune domande per evitare che la ricerca possa sembrare parzialmente frutto di interessi personali o di gruppi di potere, soprattutto in riferimento ai fondi, pubblici e non, e dovrebbe indagare sulle ricadute economico imprenditoriali in campo medico di alcune ricerche cliniche, che forse libere non sono. Nel 2013 in Germania il ministro dell’Istruzione e della Ricerca scientifica, Annette Schavan, accusata di aver copiato la tesi di dottorato, si dimise e l’Università di Dusseldorf, dove nel 1980 aveva conseguito il dottorato, le revocò il titolo accusandola di plagio per la tesi, con l’approvazione di 12 componenti del consiglio giudicante di facoltà, due voti contrari e un’astensione e mi sono sempre chiesto se mai sarebbe potuto succedere nel nostro Paese.

Come si vede ci siamo allontanati molto dall’evento criminoso del Cairo ma penso sia importante che partendo dalla anomala reazione della prestigiosa Università di Cambridge si faccia, da Sanitari, una seria e più ampia riflessione sugli effetti di alcuni “studi scientifici” nel nostro mondo.

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