W Totò (… e anche Frassica, perché no)!

Anno: 2021 - Volume 6 / Fascicolo: 5 / Articolo: 2 / Periodo: ott-dic

Autori:

Morena Ottaviani


Per citare questo articolo: Ottaviani M. W Totò (... e anche Frassica, perchè no)! Fisiatria Italiana [Internet]. 2021 ott-dic;6(5):3-5. Disponibile su: https://www.fisiatriaitaliana.it/w-toto-e-anche-frassica-perche-no

La lingua italiana possiede un vocabolario talmente ricco e variegato che permette di giocare sulle parole e sul loro significato in modo purtroppo spesso ambiguo. Tuttavia, proprio la ricchezza linguistica che possediamo dovrebbe consentire una maggior precisione semantica, impedendo facili equivoci che, in certi settori, possono essere anche dannosi. Ma si sa, a volte la duplicità fa comodo, perché consente di dire senza affermare e lascia sempre aperta la porta del fraintendimento come scusa finale a remissione di ogni peccato. Mio padre ama spesso citare il numero di parole utilizzate per scrivere la Costituzione America (7613 parole nel lontano 1787) e quella Italiana (9369 parole nel vicino 1947) ad esempio di quanto la prolissità insita nel DNA italico possa generare imprecisione.

Il fatto

Un amico e collega mi invia il link ad un articolo pubblicato su di un giornale on line la cui descrizione recita “… il quotidiano italiano dove il protagonista sei tu. Dal 2009 la tua voce libera ed indipendente”, e nelle righe che seguono apparirà tutta la sua “libertà” e tutta l’indipendenza che racchiude. L’articolo, che rappresenta una di quelle pubblicazioni di informazione pubblicitaria da riferirsi evidentemente (visto il link nel contenuto) ad un centro medico umbro che si occupa tra l’altro di riabilitazione, ha nel titolo la presunzione di fungere da guida pratica alla ricerca del prefetto ambiente quando si necessita di riabilitazione. E già nel titolo emerge la prima imprecisione (vogliamo chiamarla così? Ma sì, cerchiamo di non essere perfidi sin dalle prime righe!): “Centro fisioterapico: 3 cose che devi cercare”.

Comunque, scorrendo le righe, ecco il primo paradosso: una delle 3 cose è rappresentata dalla “Visita fisioterapica professionale”. Ora, stante alla definizione di Visita individuabile sul vocabolario Treccani, 3 sono i possibili significati di tale termine:

  1. la Visita di cortesia
  2. la Visita quale atto medico
  3. la Visita come viaggio ad esempio in una data città.

In particolare, si legge: “V. medica, o semplicemente visita, l’osservazione e l’esame che il medico fa sul malato per diagnosticare eventuali infermità o per accertamenti specifici”. Oibò, dunque! Come sarà mai che si intende quindi la visita come un atto medico da cui far scaturire una diagnosi? E il professionale fisioterapista dove lo vogliamo mettere? Immediatamente nelle righe successive tuttavia si precisa che da tale visita non scaturisce però una diagnosi medica ma una diagnosi “professionale” fisioterapica (forse perché il fisioterapista è un professionista ed il medico no?) che in realtà è solo un’ipotesi di diagnosi (ma la diagnosi allora chi la fa??? Non è forse il passo fondamentale per stabilire un piano terapeutico? Mah, mi avranno insegnato male!). Del resto, in un paese in cui di violenta la lingua rendendo lecite parole come “Sindaca” o “Ministra”, come se la parità di genere si facesse con queste stupidate, vuoi che non si possa allargare il contesto in cui si eroga la Visita Medica? 

Tornando all’articolo-manuale, il bravo fisioterapista indagherà se il paziente soffre di “condizioni mediche pericolose”: ovviamente sia il paziente sia il terapista hanno tutte le competenze necessarie a comprendere la gravità delle eventuali comorbilità, …. O no? Perché in tal caso, il paziente verrebbe rimandato al Medico curante (che forse non si sarà accorto delle patologie in corso e ringrazierà infinitamente il bravo fisioterapista per avergli suggerito delle ipotesi diagnostiche di fondamentale importanza per la salute del suo assistito!). 

Comunque, una volta fatta la diagnosi (o no?), il bravo fisioterapista risolverà il problema del paziente sulla base di un trattamento impostato su …..? Vabbè, ma allora sono proprio noiosa ed insistente nel cercare a tutti i costi di voler definire la patologia o la disabilità del paziente!

A questo punto, appurato che la diagnosi è sostanzialmente superflua e che paziente e fisioterapista sono in grado di valutare e discriminare eventuali seri problemi di salute, si passa al capitolo successivo: le competenze del bravo fisioterapista. E qui scopriamo che ci sono due “specializzazioni” per il bravo fisioterapista: quella neurologica e quella ortopedica. Ricapitoliamo:

  • scuola di fisioterapia: 3 anni di corso per la laurea + eventuali 2 anni di magistrale
  • scuola di medicina: 6 anni di corso per la laurea + 4 o 5 anni di specializzazione in Ortopedia o Neurologia o Fisiatria o almeno altre 52 scuole di specializzazione

Mi sa che mi è sfuggita la scuola di specializzazione per fisioterapisti….. Sono proprio distratta!

Dunque, proseguendo nell’articolo, si scopre un lungo elenco di patologie neurologiche per le quali “La fisioterapia non diventa, quindi, solo la risoluzione di un problema ma è anche un pilastro del percorso di trattamento sia per i bambini che per gli adulti”. Data la mia professione, ovviamente ritengo il precorso riabilitativo fondamentale per la gestione delle varie disabilità, tuttavia affermare che sia risolutivo in patologie come la SLA o la Sclerosi Multipla, nelle lesioni midollari o nelle distrofie muscolari, be’ mi sembra un pochino presuntuoso.

Passando invece alle patologie di pertinenza ortopedica, l’anonimo autore afferma che esistono due tipi di “dolore”: quello spontaneo e quello non spontaneo (traumatico, I suppose). Per il primo tipo, scopriamo che, sempre attraverso la visita fisioterapica si può individuare “qual è il grado di dolore, qual è il metodo migliore per poter trattare il paziente e quali sono le cure del caso”: la diagnosi in queste circostanze è evidentemente superflua, perché presumo che a nessuno trai miei lettori sia mai capitato almeno un caso di rachialgia per un secondarismo a partenza prostatica o mammaria misconosciuta, vero? E mi limiterò a questo esempio, laddove ne esisterebbero decine. Più spesso di quanto vorremmo, purtroppo, ci siamo trovati a fare diagnosi di una patologia grave non ancora individuata perché silente fintanto che non dà un segnale con un problema secondario (in ordine di genesi, ovviamente, e non di gravità). L’errore maggiore in questi casi è non saper cercare ed interpretare i segnali che ci possono condurre a far diagnosi. Ma il bravo fisioterapista è sicuramente in una botte di ferro da questo punto di vista!

Ora, per correttezza, mi pare opportuno rilevare che, andando a sbirciare tra le pagine del sito del centro medico umbro cui si fa riferimento nelle prime righe dell’articolo, non ho trovato alcuna delle imprecisioni o castronerie presenti invece nell’articolo. Anzi, in modo estremamente corretto e preciso, si descrive la sequenza dell’accesso alla riabilitazione partendo dalla Visita Fisiatrica e in nessuna pagina si fa menzione a visite fisioterapiche o a fantomatiche specializzazioni di fisioterapisti. Tuttavia il fatto che un articolo il cui scopo dovrebbe evidentemente essere informativo, abbia in realtà i contenuti su quali ci siamo un po’ divertiti ad ironizzare, è seriamente preoccupante. Se poi aggiungiamo gli equivoci provocati dal titolo di Dottore appioppato a suon di legge a chiunque abbia uno “straccio di Laurea” che tuttavia nulla ha a che vedere con la Medicina, la frittata è fatta.

Con la riforma Gelmini del resto si è ribadito il concetto originario che in Italia ad un titolo di laurea (sia esso triennale, specialistico o di ricerca) è sempre attribuito il titolo accademico di “dottore” al suo possessore e ciò anche in virtù di quanto già disposto dalla Legge 13 marzo 1958, n. 262 che regola il conferimento ed uso di titoli accademici, professionali e simili e che all’art. 1 recita: “Le qualifiche accademiche di dottore, compresa quella honoris causa, le qualifiche di carattere professionale, la qualifica di libero docente possono essere conferite soltanto con le modalità e nei casi indicati dalla legge “. Peccato che, nell’approvare tale riforma, nessuno si sia domandato quali problemi identificativi potevano scaturire dall’inflazione del titolo di dottore quando siamo in ambito Medico Sanitario. Il Medico è da sempre appellato Dottore, ma quando tale titolo può essere utilizzato anche per identificare un Infermiere o un Tecnico Radiologo o un Fisioterapista o un Tecnico Podologo, be’ la confusione che ne deriva è veramente tanta. 

Allora, per tornare virtualmente negli U.S.A., c’è da esprimere ammirazione per una Nazione il cui Presidente viene semplicemente appellato “Mr. President”, anche se 34 dei 46 Presidenti della storia Americana aveva conseguito almeno un titolo accademico.

Noi al massimo possiamo confortarci con il Principe De’Curtis, che facendosi umilmente chiamare Totò, affermava che “Signori si nasce. Dottori si diventa”.

Decisamente una voce molto libera e molto indipendente! 

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