La rieducazione respiratoria nel soggetto anziano con sintomi funzionali

Anno: 2023 - Vol 8 / Fascicolo: 11 / Periodo: apr-giu

Autori:

Simone Ielo1*, Paolo Calò2, Alessia Del Pizzo2

1Medico in formazione specialistica in Malattie dell’Apparato Respiratorio, Università Cattolica Sacro Cuore Roma
2Fisioterapista Respiratorio, IRCCS San Raffaele Pisana Roma


La fisioterapia respiratoria è  un elemento centrale del percorso riabilitativo del paziente anziano a seguito di eventi acuti come la riacutizzazione di broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO), lo scompenso cardiaco o le polmoniti che hanno comportato dei lunghi tempi di ricovero e il conseguente deterioramento delle condizioni cliniche. Numerose evidenze scientifiche dimostrano che essa riveste un ruolo ormai consolidato nel management delle pneumopatie croniche, come nel caso delle bronchiectasie o delle sindromi disventilatorie restrittive su base neuromuscolare, dove l’impatto maggiore si ha sulla clearance delle vie aeree e il drenaggio delle secrezioni bronchiali. Rappresenta in questi casi il gold standard non farmacologico di trattamento.
L’efficacia della riabilitazione è stata indagata anche in diversi studi che ha incluso quei pazienti con sintomatologia respiratoria persistente in assenza di una specifica malattia cardio-polmonare sottostante (la cosiddetta sintomatologia funzionale dei dysfunctional breathing disorders o DBS), tuttavia nella pratica clinica viene di rado raccomandata in questi casi1,2,3.
Ancor meno, viene considerata la sua azione preventiva nei confronti di eventi che minano l’autonomia della persona. Sorgono spontanei alcuni interrogativi: Quali sono i sintomi funzionali? Chi sono i principali destinatari della fisioterapia respiratoria in questi casi? L’efficacia può aumentare in un centro di riabilitazione che affronti la problematica con un approccio multifattoriale?
La presenza di sintomi respiratori funzionali (quali dispnea, dolore toracico atipico, ridotta tolleranza cardiorespiratoria agli sforzi, alterato pattern respiratorio) è un problema rilevante che interessa solitamente soggetti asmatici ma che riscontriamo comunemente anche nella popolazione anziana1,3,4.
I meccanismi alla base possono avere genesi multifattoriale e si rende pertanto necessaria una risposta su più fronti ad un problema complesso come questo.
Un ciclo riabilitativo respiratorio prevede in media una degenza di 3-4 settimane, rappresentando un’occasione unica di miglioramento del quadro sintomatologico, di diagnosi e prevenzione di condizioni fino ad allora misconosciute, come ad esempio la sindrome delle apnee ostruttive del sonno. Queste ultime sono fortemente correlate alla comparsa di sintomi e comorbilità erroneamente considerate “sine causa” e inevitabili nell’anziano. La RP consente inoltre di apportare fondamentali modifiche allo stile di vita del paziente: dal check farmacologico della terapia domiciliare all’alimentazione. 

La fragilità: possibile origine dei sintomi funzionali

Il concetto di ‘fragilità’ è stato teorizzato nel 1985 da Fretwell.
 Definisce una sindrome biologica in cui viene a ridursi la “riserva funzionale” dell’organismo con una conseguente maggiore suscettibilità alla malattia e agli eventi avversi ad essa correlati. La sua massima incidenza si registra nella popolazione di soggetti over 70.
Fried et al.5 suggeriscono di ricercare la presenza di almeno tre dei seguenti criteri per poter parlare di paziente fragile:

  1. il calo ponderale non volontario
  2. l’astenia
  3. il deficit di forza
  4. la ridotta velocità di deambulazione
  5. la sedentarietà.

I pazienti con sintomi respiratori funzionali spesso rispettano i criteri sopraccitati rientrando in una condizione di fragilità.
 
Per identificare precocemente questa sindrome – o i fattori che espongono il soggetto anziano al rischio di sviluppare una condizione di fragilità, sarebbe utile che il medico ricorresse ad un approccio di tipo biomedico-psico-sociale (BPS)6. Infatti, vediamo come nei criteri che descrivono la fragilità, siano rappresentate anche tutte e tre le aree considerate dall’approccio BPS: quella biologica (cioè il calo ponderale, il deficit di forza e la velocità di deambulazione), quella psicologica (la sedentarietà) e quella sociale, quest’ultima da considerarsi probabilmente come il primum movens dei cambiamenti comportamentali che precedono lo sviluppo della sindrome.
Ormai da anni, le Università hanno adottato, sia per le facoltà mediche che per le altre professioni sanitarie, un progetto educativo basato su questo modello.
L’area biologica comprende tutto ciò che ha un meccanismo fisiopatologico di origine e che si “esternalizza”  in un sintomo, segno o in una vera e propria patologia.

L’area psicologica, con la sfera della percezione e del comportamento, riveste un ruolo centrale nel modo in cui il soggetto vive la propria condizione. Infine, l’area sociale fa riferimento al contesto e al supporto (familiare ma non solo) della persona nell’affrontare i propri problemi di salute.
La base di un sintomo, spesso, non è solo biologica ma legata a queste componenti: a maggior ragione se consideriamo le manifestazioni respiratorie come il dolore toracico e la dispnea, in entrambi casi regolati dal sistema nervoso.
Obiettivo di un programma riabilitativo respiratorio è – dunque – anche quello di identificare la fragilità e lavorare su queste tre aree, interconnesse e specifiche di ognuno.
Il feedback del paziente alla sollecitazione fisica, la velocità di deambulazione, la sedentarietà sono condizioni facilmente obiettivabili sulle quali si rende necessario soffermarsi.
Il peso corporeo dovrebbe essere misurato e registrato all’inizio e alla fine del ricovero, esattamente come viene fatto con le altre misurazioni oggettive della performance fisica (ad esempio i metri percorsi durante il test del cammino dei 6 minuti, le scale di valutazione della dispnea pre- e post test e la forza di presa tramite “handgrip test”).
Sarebbe auspicabile che in ogni centro riabilitativo venisse impostato un piano alimentare adeguato al singolo paziente sin dall’inizio del ricovero, nel contesto dell’approccio multidisciplinare sopradescritto. Altrettanto raccomandata è la prescrizione di una dietoterapia all’atto della dimissione del paziente.
Infine, un aspetto spesso dimenticato è il supporto psicologico, fondamentale se consideriamo che i disturbi funzionali trovano spesso una spiegazione nell’ansia. 

La tosse cronica

La fisioterapia respiratoria può svolgere un ruolo determinante nei casi di tosse cronica, una problematica verso la quale sta emergendo negli ultimi anni una maggiore sensibilità, con l’apertura di ambulatori dedicati e un aumento delle pubblicazioni scientifiche in merito.
La tosse cronica viene definita tale se il sintomo persiste per un periodo >8 settimane.
Tale condizione appare più frequente nella popolazione anziana e considerando l’aumento dell’età media della popolazione, è ragionevole pensare che l’incidenza e la prevalenza aumenteranno in un futuro non così lontano7.
Tale condizione è responsabile di una riduzione della qualità di vita; alcuni studi riportano un effetto psicologico paragonabile a quello dell’ictus o del morbo di Parkinson7.
La tosse cronica può determinare ansia, ritiro sociale, incontinenza urinaria; si associa ad un progressivo indebolimento del riflesso fisiologico e di conseguenza ad un maggior rischio di inalazione e di polmoniti ab ingestis. Nel complesso rappresenta un elemento clinico a prognosi sfavorevole aumentando notevolmente il rischio di mortalità in chi ne soffre8.
La causa non è univoca. Tralasciando le pneumopatie (BPCO, bronchiectasie) la cui trattazione esula dagli obiettivi di questo manoscritto, un sospetto può nascere indagando le politerapie farmacologiche che spesso vengono assunte nella fascia di popolazione più anziana e naturalmente le comorbilità che la colpiscono.
La malattia da reflusso gastroesofageo può essere il trigger di innesco di un’irritazione permanente delle vie aeree ed è ormai assodato come questa condizione abbia una prevalenza elevatissima nella sindrome da allettamento, e più in generale nei sedentari.

A tale riguardo esiste un questionario che potrebbe essere di ausilio in riabilitazione respiratoria che prende il nome di Hull Airway Reflux Questionnaire (HARQ). È stato dimostrato che il questionario è specifico e accurato per valutare il reflusso gastro-faringo-laringeo e l’ipersensibilità alla tosse.
Per quanto concerne le caratteristiche cliniche: la tosse è solitamente di tipo irritativo, cioè “secca”; non si associa ad espettorazione o ipersecrezione bronchiale.
Può essere accessionale, ma per lo più è occasionale e ricorrente.
Una volta escluse cause primitive responsabili del sintomo, il Medico può ricercare altri fattori scatenanti facendo attenzione alla farmacoterapia del paziente, cercando di favorire ove possibile la “deprescrition” anche di quei farmaci che almeno in via teorica non sono responsabili della sintomatologia, purché venga mantenuto sempre un favorevole rapporto rischio/beneficio9,10.
Viene raccomandato in questi casi lo switch degli inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina (ACE-i; tra i principali responsabili di tosse) con Sartani per mantenere l’effetto anti-ipertensivo.
Utile la valutazione ecografica del diaframma, per definirne posizione, spessore e mobilità e per escludere eventuali deficit o paresi, che possono essere idiopatiche ma anche secondarie a neoplasie, interventi chirurgici, patologie della pleura o manifestazioni addominali.
Di notevole interesse può essere la valutazione ecografica all’inizio e alla fine del trattamento riabilitativo per evidenziare l’efficacia del training eseguito nel percorso riabilitativo.

La dispnea: un sintomo frequente, soprattutto nel post Covid

Da un punto di vista epidemiologico, le stime pubblicate dalle varie società scientifiche ci indicano una prevalenza del sintomo compresa tra il 10% e il 59% della popolazione generale, con un picco al di sopra dei 75 anni 4.
Questi valori, che già di per sé rendono l’idea della frequenza di una condizione così invalidante, sottostimano verosimilmente la reale prevalenza attuale, cioè nel periodo post-pandemico che stiamo vivendo.
Nuove entità nosologiche (come il Long Covid e la sindrome acuta Post-Covid [PCAS]) si sono recentemente materializzate negli ambulatori medici e con loro tutto il corteo sintomatologico con cui spesso si manifestano, in primis: la dispnea da sforzo.
Per una valutazione accurata dell’entità del sintomo, solitamente viene fatto riferimento alla scala MRC (Medical Research Council) [Tab. 1] ; contestualmente ai test di performance cardiorespiratoria agli sforzi submassimali viene fatto anche riferimento alla scala di Borg che fa riferimento all’intensità percepita dello sforzo[Tab. 2].

Tabella 1: Medical Research Council scala della dispnea

 Grado 0Grado 1Grado 2Grado 3Grado 4
SINTOMISenza fiato solo dopo attività fisicaSenza fiato se cammino a passo veloce in salita Cammino più lentamente rispetto un coetaneoDevo fermarmi durante il cammino in pianoHo l’affanno anche a riposo, per uscire di casa o per vestirmi.
Fonte: Linee Guida GOLD 2023.

Tabella 2: Scala di Borg modificata a 10 items

0Non affaticato
1Sforzo percepito come molto debole
2Sforzo debole
3Sforzo tollerabile
4Sforzo moderato ma tollerabile
5Moderato, lieve affaticamento
6Forte
7Intenso
8Molto intenso ++
9Estremo
10Non tollerato
Fonte: Shariat, 2018

Questi sintomi residui dall’infezione SARS-CoV-2 sembrano manifestarsi con un’incidenza leggermente maggiore nelle donne e in età avanzata, ma soprattutto in chi ha contratto l’infezione senza essere stato precedentemente vaccinato.

Una revisione sistematica della letteratura scientifica ha confrontato vari trial clinici randomizzati che esploravano i benefici di una riabilitazione multidisciplinare in pazienti con sintomatologia residua dopo infezione da SARS-CoV-2 11.

I risultati migliori sono stati ottenuti prevalentemente in pazienti i cui sintomi erano la dispnea, la chinesiofobia (paura di effettuare movimenti) e l’ansia.
Una dichiarazione di consenso dell’ American Academy of Physical Medicine, recentemente pubblicata, consiglia la riabilitazione respiratoria e la valutazione specialistica pneumologica anche soltanto in presenza di lievi alterazioni respiratorie residuali. Qualora tali servizi non possano essere garantiti dalla comunità, viene riconosciuto il ruolo di una riabilitazione di altro tipo – definita dagli autori “tradizionale” 12.
Fatta la premessa che l’esatto meccanismo fisiopatologico delle sindromi post-COVID o long-COVID non sono del tutto chiare, appare ragionevole pensare che gli stessi disturbi presenti in altri pazienti, o semplicemente nell’anziano fragile, possano migliorare con la riabilitazione respiratoria.
Da un punto di vista farmacologico resta sconosciuta la strategia migliore da perseguire; solo di recente, i risultati di un trial clinico randomizzato hanno evidenziato che l’integrazione di l-arginina e vitamina C ha migliorato le prestazioni di deambulazione, la forza muscolare, la funzione endoteliale e la fatigue negli adulti con long-COVID 13 . Tuttavia, l’interpretazione dei risultati dello studio è limitata dal campione analizzato, dalla natura monocentrica dello studio e dal fatto che sia stato condotto in singolo cieco.

Sintomi respiratori e massa muscolare negli anziani

Muscoli e sintomi respiratori sono profondamente associati.
Gli studi osservazionali prospettici hanno confermato da diversi anni l’importanza prognostica dello stato costituzionale nei pazienti affetti da broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO), una delle patologie cardiorespiratorie più comuni, la cui incidenza e prevalenza continuano ad aumentare per la fascia d’età >65 anni.
Recenti studi però indagano anche la correlazione esistente tra sarcopenia e mortalità nei soggetti anziani senza malattia polmonare clinicamente evidente 14.
Ricordando quanto detto in precedenza, cioè che la respirazione è un processo dipendente da vari attori, risulta automatico pensare ad una correlazione tra la massa muscolare e la tolleranza cardio-respiratoria agli sforzi, a prescindere da un determinato processo patologico concomitante.
Sono state riconosciute numerose cause di sarcopenia correlata all’età (la cosiddetta “anoressia dell’invecchiamento”), tra cui la perdita delle unità motorie che innervano i muscoli, l’infiammazione sistemica (aggravata dall’obesità che talvolta accompagna la senescenza), lo stress ossidativo, il calo nella produzione degli ormoni anabolici e la diminuzione dell’attività fisica15.
Riguardo questo tema, probabilmente, un centro di RP esplica il ruolo di maggior importanza per la persona che ne è interessata.
Solitamente i pazienti vengono valutati eseguendo il chair test per la valutazione dell’assetto muscolare e della fatica respiratoria (test di 30 secondi in cui il soggetto si alza e si siede da una sedia,  il cui risultato può essere fortemente compromesso da problematiche muscolo-scheletriche). In alternativa, anche se meno informativo del precedente per quanto riguarda la prestazione muscolare, il test del cammino di 6 minuti.
In entrambi i casi viene valutata la tolleranza cardiorespiratoria allo sforzo sub-massimale monitorando con un saturimetro la frequenza cardiaca e la saturazione periferica di ossigeno (SpO2).
Questi accertamenti sono effettuati all’ingresso e al momento della dimissione, per evidenziare il delta che consente di obiettivare il miglioramento ottenuto dal paziente.

Infine, a proposito della deprescrition di cui si parlava nel paragrafo “tosse cronica”, è annosa la questione dell’uso di statine nell’anziano. In riabilitazione, numerosi pazienti anziani hanno questi farmaci nella terapia domiciliare che dettagliatamente (chi più, chi meno) ci forniscono. Le evidenze di una riduzione degli eventi cardio- e cerebrovascolari correlati alla malattia aterosclerotica sono numerose ma permangono dubbi sull’efficacia in pazienti con >80 anni. Gli effetti avversi delle statine sulla prestazione fisica e la muscolatura sono altrettanto conosciuti dai clinici. Attualmente la categoria delle statine rientra tra quei farmaci consigliati da valutare nella deprescrition 10 sebbene i più recenti trial clinici ancora non forniscano prove di un rapporto rischio/beneficio favorevole alla sospensione nei pazienti anziani e fragili. La scelta, che dovrebbe essere indirizzata da uno studio approfondito e personalizzato del paziente, rimane a carico del medico.

La ricetta della fisioterapia

In base alla valutazione del Fisiatra e del Fisioterapista, i pazienti seguiranno un programma di rieducazione composto da:

  • Esercizi per la muscolatura degli arti inferiori e superiori: questi esercizi coinvolgeranno i principali gruppi muscolari per incrementare e mantenere il tono muscolare; inoltre durante l’esecuzione di tali esercizi viene posta particolare attenzione alla coordinazione respiratoria durante il movimento svolto, poiché il paziente respiratorio tende ad eseguire “in apnea” l’esercizio fisico, aumentando la sensazione di affanno. Gli esercizi proposti dovranno essere caratterizzati da semplicità del movimento e adattabilità dello stesso alla condizione clinica di partenza.
  • Esercizi di respirazione: rieducano il paziente ad una corretta meccanica respiratoria e favoriscono il recupero della capacità polmonare e la riduzione della dispnea nel paziente affetto da pneumopatia. Nei casi di dysfunctional breathing disorders gli studi a riguardo (in numero ancora esiguo come evidenziato dalla Cochrane del 2013) danno risultati contrastanti ma appare ragionevole la loro applicazione in un contesto più ampio e multidisciplinare come quello offerto da una struttura specializzata in riabilitazione.

Tra gli esercizi di respirazione più utilizzati in ambito riabilitativo vi sono la respirazione diaframmatica (Metodo Papworth)3, che stimola l’utilizzo del muscolo diaframma per espandere la gabbia toracica (il paziente seduto o sdraiato, mette una mano sul petto e una sullo stomaco, quindi inspira lentamente attraverso il naso facendo in modo che l’addome si espanda ed espira lentamente attraverso la bocca mentre si contrae il diaframma determinando l’appiattimento della pancia); la respirazione a labbra serrate, che aiuta ad aumentare la resistenza e a ridurre la dispnea (il soggetto inspira attraverso il naso e poi espira attraverso le labbra serrate come se stesse soffiando una candela, mantenendo una resistenza costante durante l’intera espirazione); la respirazione profonda, che aiuta ad allungare i muscoli del torace e ad aumentare la capacità polmonare (il paziente seduto o sdraiato  in posizione confortevole, inspira lentamente e profondamente attraverso il naso e poi espira lentamente e completamente attraverso la bocca, cercando di svuotare completamente i polmoni); la Buteyko Breathing Technique che pone particolare enfasi sulla respirazione nasale e le pause respiratorie dopo un atto ventilatorio completo. Questa tecnica è stata usata soprattutto nei casi di predominanza di respirazione toracica e nei dysfunctional breathing disorders con iperventilazione3.

  • Airway Clearance Techniques (ACT) o Esercizi di rimozione delle secrezioni bronchiali: alcune patologie polmonari possono portare ad un aumento delle secrezioni bronchiali prodotte dall’organismo e ad una difficile rimozione naturale delle stesse. I pazienti con DBD riferiscono sensazione di ipersecrezione bronchiale con difficoltà di espettorazione. In questi casi, il fisioterapista respiratorio applica alcune tecniche di disostruzione bronchiale non invasive (come FET, drenaggio autogeno, tecnica “expiration with glottis opened in lateral posture” ELTGOL16) o semi-invasive (utilizzo di macchinari con sistema PEP -pressione positiva di fine espirazione) per la rimozione meccanica delle secrezioni quali Cough Assistant, FreeAspire, Percussionaire.
  • Attività aerobica: la camminata, sia a passo normale sia attraverso l’uso di macchinari come il treadmill, aumenta la funzionalità cardio-respiratoria, il tono muscolare di tutto il corpo e incrementa la tolleranza allo sforzo fisico, che nel paziente respiratorio risulta fortemente diminuita e compromessa.
  • Attività educazionale: con questo termine si intendono tutte quelle indicazioni e quelle tecniche che il fisioterapista può fornire al paziente per quanto riguarda la corretta gestione dei sintomi respiratori e della patologia in generale, le strategie per la prevenzione di recidive, le indicazioni sul proseguimento di un programma riabilitativo al fine di mantenere i risultati raggiunti e poterli incrementare.

Conclusione

La rieducazione respiratoria richiede un approccio personalizzato e multidisciplinare tra diverse figure di specialisti della salute, dove un ruolo determinante è svolto da medici FISIATRI E PNEUMOLOGI , fisioterapisti, terapisti respiratori e nutrizionisti.

Ad oggi esistono solo poche evidenze scientifiche a supporto della fisioterapia per i pazienti che manifestano disagi respiratori in assenza di malattie conclamate.

Un percorso di rieducazione respiratoria dovrebbe essere programmato in questi casi, considerando che la sintomatologia funzionale può rappresentare l’epifenomeno di una condizione di fragilità.

La gestione dei sintomi e la rieducazione ad un pattern respiratorio “fisiologico” rappresentano l’outcome primario del percorso, ma sono da attenzionare anche tutti gli altri elementi della catena riabilitativa, dal supporto psicologico, alla dieta, al controllo della terapia farmacologica (Fig. 1).

La degenza in un centro di riabilitazione può inoltre essere l’occasione per agire in prevenzione e diagnosi, indagando tutte quelle condizioni potenzialmente responsabili delle manifestazioni cliniche.

Figura 1 – Sintesi dei Punti Trattati
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Articoli consigliati dall’autore: Rif. 3, Rif. 7, Rif. 8, Rif. 9, Rif. 15.

Conflitti di interessi
Gli Autori dichiarano l’assenza di conflitti di interessi.

Finanziamenti
Gli Autori dichiarano di non aver ricevuto finanziamenti.

Congressi
n/a

Ringraziamenti
n/a

* Corresponding author: Simone Ielo (simone.ielo01@icatt.it)

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1 comment
  1. l’articolo purtroppo è poco pratico e si limita al mero compitino di scrivere un’articolo sulla rieducazione respiratoria; non credo si debba per forza ricorrere ad un ricovero ordinario per visitare e prescrivere un’adeguato programma riabilitativo respiratorio ma basterebbe una collaborazione tra pneumologo , fisiatra e fisioterapista che in ambito ambulatoriale possano interfacciarsi e mettere in atto un’ottimo progetto e programma riabilitativo; la percezione che trapela anche da questo articolo è che il fisiatra che si occupa di riabilitazione respiratoria non venga minimamente menzionato e considerato , il che rispecchia una concezione obsoleta che vuole i pneumologi e i Fisioterapisti respiratori come gli unici detentori di questa particolare riabilitazione. Aggiornatevi.

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