Reati nella certificazione medica: un piccolo Vademecum

Anno: 2021 - Volume 6 / Fascicolo: 2 / Articolo: 11 / Periodo: gen-mar

Autori:

Francesca Santangelo

Libero professionista, Sciacca (AG) Italy


Per citare questo articolo: Santangelo F. Reati nella certificazione medica: un piccolo Vademecum. Fisiatria Italiana [Internet]. 2021 gen-mar;6(2):50-52. Disponibile su: https://www.fisiatriaitaliana.it/reati-nella-certificazione-medica-un-piccolo-vademecum

Da molti considerato di banale importanza, il certificato medico si pone come elemento di connessione tra l’ambito strettamente privato del paziente e quello sociale. Il rispetto della disciplina che lo riguarda riveste fondamentale importanza perché è in grado di generare conseguenze giuridiche, amministrative e deontologiche. Tali conseguenze hanno un peso differente in base al tipo di atto che viene rilasciato e, quindi, dalla natura pubblica o privata delle funzioni del medico. 

Premessa essenziale è che il certificato è destinato a provare l’oggettiva verità di ciò che in esso è affermato. Esso può rivestire la forma di atto pubblico se redatto dal medico in qualità di Pubblico Ufficiale, di certificato amministrativo oppure di scrittura privata se rilasciata in regime libero-professionale.

Secondo la giurisprudenza, i medici considerati pubblici ufficiali sono ad esempio: il direttore sanitario di un ospedale pubblico, i medici ospedalieri, il medico di famiglia che presta la sua opera a favore di un soggetto assistito dal Servizio sanitario nazionale che compie un’attività amministrativa disciplinata da norme di diritto pubblico e, in materia di assistenza sanitaria pubblica, esercitando in sua vece poteri autoritativi e certificativi (ricette mediche, impegnative e certificati medici), il sanitario designato come perito in un processo penale o come consulente tecnico di ufficio in un processo civile, il medico convenzionato con il Servizio Sanitario Nazionale. I medici assumono, invece, la qualifica di esercenti un servizio di pubblica necessità quando svolgono l’attività medica come liberi professionisti. 

Esempi di atto pubblico sono: il certificato di morte e di identificazione delle relative cause, il certificato di idoneità alla guida di autoveicoli e quello di idoneità al porto d’armi. Sono considerate certificazioni amministrative la prescrizione di farmaci su ricettario regionale e le altre certificazioni redatte in qualità di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio come, ad es. i certificati di idoneità all’attività sportiva agonistica. Sono invece scritture private le certificazioni redatte dal medico in qualità di esercente un servizio di pubblica necessità. 

Questa premessa è necessaria per comprendere la diversa severità con cui viene punito uno dei reati più comuni che riguarda il certificato medico, ovvero il reato di falso, a seconda se sia commesso nella redazione di atti pubblici, certificazioni o, ancora, di scritture private.

Il legislatore penale distingue il reato di falso in materiale ed ideologico. 

Il reato di “falso materiale” è caratterizzato dalla presenza di un errore di forma nel certificato. Esso è disciplinato dall’art. 476 c.p. che punisce con la reclusione da uno a sei anni il Pubblico Ufficiale che nell’esercizio delle sue funzioni, forma, in tutto o in parte, un atto falso o altera un atto vero. Qualora, poi, la falsità riguardi un atto o parte di un atto che faccia fede fino a querela di falso, la pena della reclusione prevista va da tre a dieci anni.

In questa ipotesi il medico risponde del reato di falso materiale quando, nella redazione del certificato, commette alterazioni o contraffazioni mediante cancellature, abrasioni o aggiunte successive, che hanno lo scopo di far sembrare adempiute le condizioni richieste per la sua validità. Esempi classici sono: le aggiunte effettuate con la penna o cancellature con il correttore, la creazione di un documento con la firma di un altro autore o la modifica di un documento redatto da altro autore.

Nel falso ideologico, invece, si è in presenza di un atto che ha un contenuto che non risponde a verità, che contiene circostanze false. Tipico esempio è quello del medico che nel certificato formula una diagnosi ad un paziente che non è mai stato visitato o che addirittura non presenta alcuna patologia. 

Il medico con funzioni pubbliche risponde di falso ideologico (art. 479 c.p. in atto pubblico e art. 480 c.p. in certificazione) se il giudizio diagnostico espresso nel certificato medico si fonda su fatti esplicitamente dichiarati o implicitamente contenuti nel giudizio stesso, che non rispondano al vero e che siano coscientemente diversi da quelli rilevati.

Per completezza espositiva ricordiamo quanto è stabilito nel codice penale. L’art. 479 punisce con la stessa pena prevista nell’art. 476 c.p. (relativa al falso materiale) “il pubblico ufficiale, che, ricevendo o formando un atto nell’esercizio delle sue funzioni, attesta falsamente che un fatto è stato da lui compiuto o è avvenuto alla sua presenza, o attesta come da lui ricevute dichiarazioni a lui non rese, ovvero omette o altera dichiarazioni da lui ricevute, o comunque attesta falsamente fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità. L’art. 480 c.p., intitolato “falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in certificati o in autorizzazioni amministrative”, punisce con la pena della reclusione da tre mesi a due anni il pubblico ufficiale, che, nell’esercizio delle sue funzioni, attesti falsamente in certificati o autorizzazioni amministrative, fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità.

Il certificato redatto dal medico in qualità di libero professionista, come su accennato, acquista natura di scrittura privata e rende applicabile, invece, la disposizione normativa di cui all’art.481 del c.p., secondo la quale “chiunque, nell’esercizio di una professione sanitaria o forense o di un altro servizio di pubblica necessità attesta falsamente in un certificato, fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da euro 51,65 a euro 516,47, pene che tuttavia si applicano congiuntamente se il fatto è commesso a scopo di lucro”.

È importante ricordare che la falsità in oggetto riguarda il medico che redige il certificato e non il soggetto che lo riceve o lo utilizza.

Il momento di consumazione del reato avviene al rilascio del certificato all’assistito e non quando questi ne abbia, eventualmente, tratto beneficio dalla presentazione ai destinatari. 

Anche nel reato di falso ideologico, come in quello materiale, non è sufficiente la condotta materiale posta dal medico ma è necessaria la sussistenza del dolo, cioè l’intenzionalità di affermare il falso. Questo lo distingue dall’errore valutativo, cioè l’ipotesi in cui il medico commetta errori diagnostici e prognostici dovuti all’interpretazione errata di fatti clinici realmente constatati. Questa condotta non configura il reato di falso ideologico.

Quanto detto finora induce a comprendere che integra il reato di falso anche il comportamento del medico che redige un certificato “compiacente”, cioè il certificato che, redatto con termini ambigui o imprecisi, ha lo scopo di alterare una situazione, non garantendo in questo modo il requisito della veridicità. E la redazione di un certificato compiacente non è giustificato dal “venire incontro alle esigenze del paziente”, qualunque esse siano. 

Dunque, ne consegue che il medico debba rifiutarsi di certificare fatti che egli non abbia constatato personalmente o che non siano supportati da riscontri oggettivi o che egli sappia non corrispondano al vero. 

Qualora nulla impedisca il rilascio del certificato e il medico, senza giustificato motivo, si rifiuti di farlo, è configurabile il delitto di rifiuto di atti d’ufficio (omissione), disciplinato dall’art. 328 c.p., il quale punisce con la reclusione da sei mesi a due anni il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio che indebitamente rifiuti un atto del suo ufficio che, per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di igiene e sanità, deve essere compiuto senza ritardo.

Il dovere del medico di rilasciare il certificato è tale perché trova fondamento nella natura stessa della professione medica, che è un servizio di pubblica necessità. Di conseguenza, il rifiuto, trattandosi di un’omissione che va contro l’essenza stessa della professione, è perseguibile sia deontologicamente che penalmente.

Per completezza, è utile ricordare che il medico, nell’esercizio della sua attività e non solo nel momento in cui redige il certificato, si trova sempre nella condizione di conoscere dati sensibili (in primis relativi alla salute, ma non solo) del paziente. E a tal proposito ha l’obbligo morale, deontologico e penale, di mantenere il segreto professionale su tutto ciò che gli è confidato o che può comunque conoscere in ragione della sua professione, assicurando in questo modo la tutela della riservatezza. L’inottemperanza di tale obbligo comporta che si integri il reato di rivelazione di segreto professionale di cui all’art. 622 c.p., che afferma: “chiunque, avendo avuto notizia, per ragione del proprio stato o ufficio o della propria professione o arte, di un segreto, lo rivela, senza giusta causa o lo impiega a proprio o altrui profitto, è punito, se dal fatto può derivare nocumento, con la reclusione fino ad un anno o con la multa da euro 30 a 516”.

Rimanendo in tema di privacy del paziente, è necessario che questa venga assolutamente garantita anche in occasione di rilascio del certificato. 

Infatti, qualora il certificato sia richiesto dal paziente e consegnato a lui direttamente, nulla quaestio. Qualora, invece, il certificato venga consegnato ad una persona diversa dal richiedente, il medico deve acquisire una delega scritta che lo autorizzi a rilasciare il certificato nelle mani di un terzo. 

Il certificato deve essere consegnato dal medico o da un suo incaricato (ad esempio la segretaria) e in luoghi dove si possa essere sicuri che il ritiro venga effettuato dal diretto interessato. Per i certificati di malattia ad uso lavorativo il medico deve evitare di indicare la diagnosi, perché al datore di lavoro non è dato conoscerla, salvo che sia il paziente stesso che lo richieda, allo scopo di beneficiare dei permessi lavorativi speciali che il datore di lavoro può concedere solo previa conoscenza della diagnosi. In questo caso il medico è legittimato ad indicare le informazioni sulla patologia, perché oggetto di espressa richiesta del paziente.

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