Silvano La Bruna, vice segretario nazionale SIMMFiR



1.     Secondo lei a che punto é la sanitá pubblica in Italia?

Sulla carta il nostro è un sistema sanitario fondato sull’equità, sull’uguaglianza e sull’ universalità, A stare alle statistiche ed a quanto pubblicizzato dall’OCSE abbiamo uno dei sistemi sanitari più avanzati e garantisti,  nonostante il persistente definanziamento abbia prodotto molti problemi gestionali ed organizzativi in quasi tutte le regioni, in particolare nelle regioni del centro-sud, tutte sottoposte a Piani di Rientro economico-finanziari; alcune di queste regioni stanno superando il processo di commissariamento, altre sono ancora in pieno Piano di Rientro, come la regione Calabria che molto difficilmente riuscirà a pareggiare i propri conti in tempi brevi e con le sole proprie risorse economiche; le ricadute sono ben circostanziate alla luce di alcuni indicatori che evidenziano le sofferenze sopportate dai cittadini: liste di attesa infinite, costante incremento della mobilità passiva, gravissima riduzione di posti letto (1,8 x 1000 ab), assistenza domiciliare pressochè nulla, mancata attivazione delle Case della Salute da ospedali in riconversione ecc. 

Nelle regioni del nord Italia i LEA sono ben rispettati, l’accesso del cittadino al sistema sanitario è ben supportato, l’informazione circa l’offerta sanitaria è facilitata dal web. Tuttavia anche nei ssr del nord anni di cura dimagrante hanno prodotto un aumento dei carichi di lavoro per gli operatori, i contratti di lavoro atipici sono la norma, un’errata programmazione degli ingressi dei medici laureati nelle scuole di specializzazione ha prodotto una carenza di specialisti in diverse discipline, le cause di risarcimento per danno hanno creato disaffezione verso alcune discipline, la burocrazia che i medici devono quotidianamente affrontare divora parte delle ore da dedicare al paziente,   

Nei fatti quindi equità, uguaglianza ed università sono princìpi disattesi. Il progressivo disimpegno dello Stato nei confronti del welfare sanitario pubblico è compensato dall’aumento delle prestazioni affidate all’imprenditoria privata, da una continua sollecitazioni a orientarsi verso le mutue/assicurazioni integrative da una rinuncia all’accesso per il graduale impoverimento di ampie fasce di popolazione. L’orientamento liberista dei governi che si sono succeduti negli ultimi 30 anni hanno concesso al sistema mutualistico di rientrare dalla porta principale checché ne dicano gli attuali politici di tutti gli schieramenti “ideologici”. Ergo, la sanità pubblica così come è stata intesa per un breve periodo (1978-1992) è destinata a ridimensionarsi e a modificarsi nel disimpegno verso quei princìpi fondamentali di “umanesimo civico” che le avevano dato vita.

2.     Come giudica la recente costituzione della Consulta permanente delle Professioni sanitarie e socio-sanitarie?

Giubilo da parte di fnomceo, fnopi ecc. Avrei preferito anche la presenza dell’associazionismo come garante/vigilante dell’attività anche perche il mandato della Consulta dovrebbe avere l’obiettivo di far colloquiare tutti i professionisti sanitari tra di loro ma, secondo l’idea esternata del ministro, anche di costituire un gruppo di persone esperte che ragionino e propongano elaborazioni per una riforma del sistema sanitario.

Credo quindi che produrrà anche atti di indirizzo che saranno inviati per l’adozione ai rispettivi Ordini professionali alcuni dei quali saranno certamente indigesti per gli iscritti. Ma essendo inguaribilmente ottimista aspetterò i risultati delle prime riunioni prima di poter giudicare

3.   E la Federazione degli Ordini dei Medici , secondo lei, sta tutelando la posizione della categoria?

E’ in atto una brain storming della Fnomceo, “gli stati generali della professione medica”, che dovrebbe proporre una rifondazione dell’essere medico. Recentemente vi sono state proposte per (ri)definire l’atto medico. Credo che la Fnomceo stia procedendo in questo processo speculativo in maniera eccessivamente diplomatica e conciliante a fronte di tutte le problematiche sollevate dai colleghi medici specialisti riguardo, p.e., i confini netti delle competenze mediche e dei professionisti sanitari (radiologi, oculisti, fisiatri….). La Fnomceo sta avallando, a mio parere, l’aumento dei margini della zona grigia delle rispettive competenze ove si creeranno in un prossimo futuro le “competenze avanzate” dei laureati triennali. Purtroppo ritengo che non vi sia mediazione tra un “comma 566/2015” e la tutela della professione medica, benché ritengo necessario che il professionista sanitario sviluppi percorsi formativi e professionali che diano maggiori garanzie al cittadino. Fnomceo da anni sta giocando una partita in difesa rispetto alle altre organizzazioni dei professionisti sanitari: chi sta persistentemente in difesa prima o poi il gol lo prende.

4.     Come cercare di avere una sanità nazionale piuttosto che 21 sanità locali?

Sono per uno Stato forte che sappia garantire i livelli essenziali ed UNIFORMI delle prestazioni descritti in Costituzione. Purtroppo con la riforma costituzionale del 2001 viene devoluta alle regioni parte delle competenze fino a quel momento assegnate allo Stato, tutela della salute compresa.  Quello che è successo in questi anni è che la riforma non é stata pienamente attuata. Intendo dire che non sono stati definiti i costi standard delle prestazioni, così come il princìpio di sussidiarietà è rimasto inosservato, così come i fondi perequativi per le regioni in criticità (nel raggiungimento dei livelli minimi essenziali delle prestazioni) sono rimaste solo parole sulla carta. Le regioni sono andate ben oltre le proprie competenze ovvero la sola organizzazione del diritto alla salute. Al netto di corruzione, malaffare, sprechi ed inefficienze, i cittadini del sud Italia non godono effettivamente degli stessi diritti civili e sociali, sanità in primis, ottenuti dai cittadini del nord. Oggi le regioni chiedono ulteriore autonomia nelle materie di legislazione concorrente stabilite dall’art. 117 della Costituzione, capofila il Veneto e l’Emilia Romagna, quando già un comma dell’art. 117 recita: “Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato”. Una completa autonomia regionale nelle materie di legislazione concorrente, in particolare in materia di tutela della salute e quindi in assistenza sanitaria (ricordo che il sistema sanitario regionale costituisce mediamente il 75% del bilancio complessivo regionale), significherebbe far saltare definitivamente e completamente il princìpio indevolvibile dell’esigibilità dell’uniformità, dell’equità e dell’universalismo dell’assistenza sanitaria. 

Per quanto mi riguarda, in quanto sindacalista, mi preoccupa la questione dei contratti nazionali di lavoro; essendo il costo del lavoro la maggiore spesa per le regioni è possibile, anzi molto probabile, che qui si eserciteranno le maggiori pressioni per far quadrare i conti regionali in tempi di definanziamento del SSN. Riduzione del personale, contratti collettivi “regionalizzati” e valorizzazione delle professioni sanitarie ad invarianza salariale (meno medici, più infermieri con competenze avanzate) saranno gli argomenti più caldi dei prossimi mesi: Toscana docet, in materia di task-shifting, l’ARAN a più riprese ha tentato di regionalizzare i contratti collettivi proponendo semplici atti di indirizzo nazionali in sostituzione del CCNL e per quanto riguarda la riduzione complessiva del personale sanitario pubblico basta leggere gli stessi reports del Ministero della Salute.

In sintesi è ben evidente il fallimento del “decentramento responsabile” che si può soluzionare solo con nuovo intervento sulla Costituzione        

5.  Ritiene che nell’ultimo decennio sia diminuita la capacitá della categoria medica di porsi come momento portante della sanitá, cedendo posizioni e funzioni a personale non sempre adeguatamente formato al ruolo dirigenziale? In particolare pensiamo alla dirigenza delle professioni o addirittura ai reparti ospedalieri senza medici?

Certamente la nostra categoria ha dimostrato negli ultimi anni di essere molto fragile, di non aver un’idea di unità, di essere, p.e., perennemente in lotta per acquisire posizioni apicali e per affidare ai politici il proprio destino professionale. Oggi, piu di ieri, si diventa direttore di struttura complessa per assenso del politico, nonostante i tentativi normativi di contenere l’ingerenza del politico di turno e l’arbitrarietà del suo direttore generale aziendale; la competenza scientifica medica e gestionale/organizzativa è secondaria all’”appartenenza”. Ho assistito, dalla mia postazione di lavoro, all’assegnazione di incarichi primariali a colleghi con una competenza dirigenziale approssimativa; sembra ovvio che il vuoto venga riempito da altri, spesso altrettanto poco adeguati. Vi sono tuttavia professionisti sanitari che, pur lavorando, hanno seguito percorsi formativi impegnativi e che hanno permesso di accedere giustamente alla dirigenza sanitaria; diverso terreno invece è quello della competenza clinica e dell’assistenza alla persona. La competenza in diagnosi e cura è del medico e non possono esserci mediazioni motivo per cui reparti ospedalieri senza la presenza di medici è inaccettabile per la sicurezza del paziente. Delle due l’una: o il paziente non ha più necessità di presenza o vigilanza medica e quindi il ricovero ospedaliero è inappropriato o il paziente è clinicamente instabile e quindi ha necessità della presenza medica. Diversamente si prefigura un uso di risorse inappropriate. L’ospedale di comunità previsto dal DM 70/2015 dedicato alle persone con necessità di assistenza infermieristica nelle 24 ore e non gestibili al domicilio può rappresentare un modello organizzativo, ancora da verificare sul campo, in cui l’infermiere gode della titolarità dell’assistenza alla persona non dimenticando che l’aspetto strettamente clinico è pur sempre di competenza del medico (MMG o dipendente)

6 A proposito del  Decreto Appropriatezza e cosa ne pensa di quando, a pagina 22, si parla di posti letto ospedalieri di riabilitazione estensiva prevalentemente UTILIZZATI PER I PAZIENTI CON PATOLOGIE DISABILITANTI ORTOPEDICHE? Si torna a parlare di categorie patologiche piuttosto che di PERSONE NEL LORO CONTESTO FAMILIARE-LAVORATIVO e SOCIALE.

 E’ regressione etica, deontologica e scientifica. Chi ha scritto quelle righe e chi ha permesso che venissero scritte ha solo evidenziato che gli ultimi 20 anni di innovazione nella presa in carico della persona sono passati sotto i loro occhi e le loro menti come una crisi comiziale. Non aggiungo altro avendo l’associazionismo ed il cittadino competente già risposto… 

7 In questo contesto quale ritiene debba essere il ruolo di un sindacato di fisiatri per il futuro?

Mi sembra ovvio che per quanto sopra detto vi sia la necessità di tutelare ruolo e funzione del medico fisiatra. La categoria dei medici è al centro delle attenzioni del legislatore che sta operando per una ridefinizione dell’area di competenza vedi l’art. 1, comma 566 della della Legge di stabilità 2015; i professionisti sanitari di area riabilitativa, riconducibili per il momento solo ad alcune aree di rappresentanza dei fisioterapisti, sono convinti di potersi sostituire al fisiatra; propongono una laurea quinquennale, ritengono di poter professionalmente agire al di fuori di un gruppo di lavoro multidisciplinare ed interprofessionale, scotomizzano i provvedimenti legislativi ( LG per la riabilitazione  del 1998, recepimento dell’ICF, Piano di indirizzo per la Riabilitazione del 2011), ragionano in termini di prestazione e non di presa in carico della persona, frammentano la persona in un gomito o una spalla su cui costruire un programma fisioterapico, eventualmente agendo con la “complicità” di specialisti per acuti, motivo per cui rivendicano un’autonomia diagnostica e terapeutica assolutamente irricevibile. Sentenze di TAR e Consiglio di Stato (vedi l’ultima su una delibera della regione Sardegna) confermano costantemente ruolo e funzione ausiliaria rispetto al medico fisiatra. Il Sindacato dovrebbe essere maggiormente incisivo laddove si sviluppano queste diversificate forme di abusivismo professionale. Questa attitudine la si riscontra maggiormente nel mercato della salute, nell’attività privata essendo piuttosto episodica all’interno del SSN; i colleghi responsabili delle segreterie regionali SIMMFiR dovrebbero costantemente presidiare il loro territorio e procedere autonomamente o informare il direttivo per i provvedimenti del caso. La sopra citata sentenza del Consiglio di Stato che, per l’ennesima volta dà ragione al SIMMFiR, poteva essere una delle tante che avremmo potuto ottenere in tema di sicurezza delle cure, abusivismo professionale e di regole nell’esercizio della professione se avessimo avuto una maggiore presenza ed incisività nelle singole realtà regionali.

Il nostro è un magma professionale ben diverso da quello delle altre discipline. La maggior parte dei fisiatri oggi lavora nel privato accreditato e nel privato puro e non sono reclutabili ai princìpi della tutela sindacale, anche perché il sindacato si è sostanzialmente occupato in questi anni delle attività ospedaliere, marginalmente di quelli territoriali (composti prevalentemente da colleghi specialisti convenzionati (“sumaisti”) dove maggiormente si sente il peso della deregulation professionale. In questi anni avremmo dovuto dedicare maggiore attenzione anche ai colleghi delle altre discipline, penso agli oculisti, radiologi, ginecologici al fine di condividere azioni tese alla sicurezza del cittadino e alla tutela della professione medica: trovo inaccettabile che un’ostetrica faccia ecografie sul feto e che un fisioterapista prescriva o legga una risonanza magnetica e conseguentemente stili un programma terapeutico.

8 Non pensa che da qualche anno la categoria dei fisiatri sia senza una visione chiara degli obiettivi utili a se ed all’intero mondo della disabilitá, essendo ormai incistata in giochi legati prevalentemente ad interessi di ristretti gruppi?

Abbiamo avuto una grande occasione con l’introduzione della nuova classificazione internazionale del funzionamento. A distanza di quasi 20 anni da quella data storica siamo ancora qui a discutere su compartimenti molto poco osmotici tra di loro: l’eterna dicotomia ospedale/territorio. Il modello dipartimentale della riabilitazione fortemente richiamato anche nel Piano di indirizzo per la Riabilitazione del 2011 non è stato sostanzialmente adottato in nessuna regione, benché alcune hanno legiferato in tal senso (il dipartimento funzionale non ha alcun senso per il fisiatra. Il dipartimento della riabilitazione o è strutturale o non è.). Ricordo che la presa in carico della persona disabile all’interno dell’organizzazione dipartimentale è in grado di attuare il progetto riabilitativo individuale unico e di superare tutte le barriere fisiche, burocratico-amministrative, sociali che ostacolano la sua realizzazione piena. Ritengo che sia questo il motivo per cui anche all’interno del mondo della fisiatria vi siano state aree ben note che hanno addirittura contrastato il modello dipartimentale (strutturale). Le conseguenze della sostanziale inattuazione del modello dipartimentale in quasi tutte le regioni sono sotto gli occhi di tutti: persiste la frammentazione del percorso assistenziale e si concede spazi a chi cerca maggiore visibilità ed autonomia. Ritengo quindi che proprio questa sia stata la nostra più grande fragilità.

9.  Tornando al Decreto appropriatezza, sembra che alcuni noti players ministeriali della fisiatria abbiano concordato la riduzione delle ore previste nei settings riabilitativi legati alle gravi cerebrolesioni. Se cosi fosse si andrebbe ad una facilitazione economica per diversi gruppi sanitari privati, con una riduzione del personale. É anche questo un segno dei tempi attuali?

 Si sta tentando di aggredire la questione del costo del lavoro riducendo l’offerta sanitaria. Benchè la giornata di degenza sia ben retribuita, l’impegno professionale è importante perché prevede l’opera di più figure professionali, per tempi superiori alle tre ore giornaliere. Non credo comunque che si arriverà a ridefinire i tempi che l’equipe multi professionale dedica alla persona con grave cerebrolesione acquisita. Probabilmente si arriverà ad una soluzione per cui ci sarà una differenziazione del sistema tariffario, spostato verso una maggiore remuneratività

10 .  Come vede la professione del Fisiatra fra 20 anni, ovvero in un mondo sempre più globalizzato e con una costante deregulation?

Come è già successo per altre discipline mediche l’acquisizione di nuove conoscenze scientifiche costringerà a sviluppare all’interno della nostra disciplina “iperspecializzazioni” che probabilmente si renderanno gradualmente autonome dalla specializzazione madre in MFR. A titolo grossolanamente esemplificativo, nei fatti, i colleghi che si occupano delle persone che rientrano amministrativamente nei codici 75 o 28 è possibile che non abbiano la migliore conoscenza sulla presa in carico della persona con connettivite indifferenziata. Così come la Reumatologia si è staccata dalla Medicina Interna ed è diventata disciplina a sé stante così è possibile che segmenti di conoscenza della MFR diventino autonome. Il problema sarà presidiare, oltre chè la conoscenza scientifica della MFR, gli spazi che si creeranno perché solo chi acquisisca formazione e titoli possa legittimamente operare assicurando la qualità della presa in carico della persona.  Allo stesso tempo si dovrà necessariamente sviluppare la maggior scientificità possibile non solo sul piano sanitario ma anche sociosanitario e socio assistenziale. Qui c’è molto da indagare e sperimentare sia sul piano strettamente assistenziale che sul piano dei costi, quest’ultimo argomento ineludibile dei tavoli tecnico-amministrativi. Il fisiatra dovrà essere quindi in grado di utilizzare la moderna tecnologia, dalla robotica alla domotica, sviluppare una completa competenza relativa ai diversi settori di “iperspecializzazione”, pur mantenendo l’unitarietà dell’etica, della filosofia e dei princìpi che sostengono la MFR ed allo stesso tempo avere forte competenza in materia di legislazione sociale e diritto amministrativo per potersi agilmente muoversi nella presa in carico globale della persona. Diversamente si parcellizzeranno ruoli, funzioni e competenze e la nostra disciplina si dissolverà com’è già avvenuto per altre discipline mediche e chirurgiche. La formazione universitaria e post-universitaria sarà dunque fondamentale nell’affermare il posizionamento del fisiatra nel complesso mondo sanitario e sociale. Questo sarà certamente uno degli impegni più gravosi del SIMMFiR.

11 Dobbiamo ESSERE OTTIMISTI?

Beh si, sono un fisiatra quindi non posso non essere ottimista. Il medico (fisiatra) si forma con un lungo percorso di studi. Indipendentemente dalla necessità di controllare i costi, dai tentativi di task-shifting e dall’assalto al cielo dei professionisti sanitari la scienza riabilitativa è in continua evoluzione ed il fisiatra è guida indispensabile per assicurare la qualità e la sicurezza della presa in carico della persona. Nel nostro contesto istituzionale non si può prescindere da ruoli e funzioni diversificate che devono coincidere con uno specifico ordinamento gerarchico su cui ricadono specifiche responsabilità professionali. Sul versante strettamente sindacale, sono ben contento del costante sviluppo della formazione e delle competenze dei professionisti sanitari e della continua “tensione” positiva che si sviluppa nel confronto speculativo se l’obiettivo è il continuo miglioramento della gestione e dell’organizzazione dell’universo riabilitativo. Sono anche per sostenere le ragioni altrui quando sono basate e confortate da fatti scientifici inoppugnabili. Sono piuttosto infastidito quando l’aggressività e la richiesta di maggiore autonomia professionale rivendicate da certe aree delle organizzazioni dei professionisti sanitari viene dalla necessità di sviluppare il mercato dalla salute e della sanità. La merce salute non è nella nostra Costituzione. Sono ben contento quindi se un infermiere competente venga incaricato di eseguire un prelievo ematico arterioso, competenza che si acquisisce con un lungo percorso post-universitario formativo e di tutoraggio sul campo, in osservazione di regolamenti e procedure specifiche, ma ritengo inaccettabile che un fisioterapista legga ed interpreti una risonanza magnetica lombare o faccia un’infiltrazione endoarticolare al ginocchio o pretenda di sviluppare un programma riabilitativo in assenza di prescrizione fisiatrica. Una cosa è l’integrazione delle competenze e l’indefinibilità di alcune zone grigie di competenze altra cosa è l’abusivismo professionale o il tentativo di sostituzione per quota parte di ruoli e funzioni. Lì percorso formativo, competenze e responsabilità professionali non permetteranno mai ad Achille piè veloce di raggiungere la tartaruga. La nostra forza e la nostra debolezza è la categoria dei medici ove interessi spesso eufemisticamente detti “sfuggenti” non consentono unitarietà di comportamenti. Ma, ripeto, sono un fisiatra quindi sono ottimista.   

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